Benvenuto di Giovanni di Meo del Guasta
(Siena 1436 - 1509/18)
Nativita', c. 1475
tempera su tavola, 56 x 40 cm (22.05 x 15.75 inches)
Benvenuto di Giovanni di Meo del Guasta
(Siena 1436 - 1509/18)
Nativita', c. 1475
tempera su tavola, 56 x 40 cm (22.05 x 15.75 inches)
Rif: 722
Provenienza: London, Sir Philip Burne-Jones Collection; London, Sir Joseph Duveen Collection; New York, Samuel Untermeyer Collection; Sutton Place, Guilford (Surrey), Jean Paul Getty Collection; Malibu (California), Jean Paul Getty Museum
O. Sirén, M. W. Brockwell, Catalogue of a Loan Exhibition of Italian primitives in aid of the American War Relief, exhibition catalogue (New York, F. Kleinberger Galleries), New York 1917, p. 170; W. Valentiner, P. Wescher, The J. Paul Getty Museum. Guidebook, Los Angeles 1954, pp. 24-25; J. P. Getty, E. Le Vane, Collector’s Choice, London 1955, p. 212; B. B. Fredericksen, Paintings in the J. Paul Getty Museum, Malibu (CA) 1965, p. 15, n. G-29, pl. 9; J. P. Getty, The Joys of Collecting, Malibu 1965 (CA) p. 88; B. B. Fredercicksen, D. D. Davisson, Benvenuto di Giovanni, Girolamo di Benvenuto. Their altarpieces in the J. Paul Getty Museum and a summary catalogue of their paintings in America, Malibu (CA) 1966, pp. 6, 17-18, fig. 5; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works, III, Central Italian and North Italian schools, London 1968, I, p. 187; B. B. Fredericksen, Catalogue of the paintings in the J. Paul Getty Museum, Malibu (CA) 1972, pp. 16-17, n. 19; B. B. Fredericksen, F. Zeri, Census of pre-nineteenth-century Italian paintings in North American public collections, Cambridge (MA) 1972, p. 26; M. C. Bandera, Variazioni ai cataloghi berensoniani di Benvenuto di Giovanni, in Scritti di Storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, edited by M. G. Ciardi Duprè Dal Poggetto and P. Dal Poggetto, Milan 1977, I, p. 312; G. Mazzoni, Icilio Federico Joni, in Siena tra purismo e Liberty, edited by B. Sani, exhibition catalogue (Siena, Museo Civico, 20/5 – 30/10/1988), Milan 1988, p. 201 note 16; C. Alessi, Benvenuto di Giovanni (1436 – 1518 circa), in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena 1450 – 1500, edited by L. Bellosi, exhibition catalogue (Siena, Chiesa di Sant’Agostino, 25/4 – 31/7/1993), Milan 1993, p. 519; M. C. Bandera, Benvenuto di Giovanni, Milan 1999, pp. 110-111, 113, 231-232, n. 50.
Il Bambino, descritto in forme massicce, è collocato a terra e rivolge lo sguardo in direzione della Madre, a sua volta presentata in ginocchio in preghiera verso di lui. A sinistra Giuseppe, accovacciato presso una pietra, è seguito da due pastori, sospesi nel loro atteggiamento tra ossequio e curiosità. In alto Dio Padre col globo in mano irradia la scena attraverso l’opera dello Spirito Santo, mentre a destra l’angelo sta svegliando due pastori, appisolati davanti al fuoco, per annunciare loro la nascita del Salvatore.
Questa tavola è di certo uno dei dipinti più importanti presentati in questa pubblicazione, nonché un notevole documento della pittura in Italia centrale negli ultimi decenni del Quattrocento. Si tratta di una celebre opera dell’artista senese Bartolomeo di Giovanni, esposta fino al 1992 presso il J. Paul Getty Museum a Malibu e quindi, a seguito di una vendita presso Christie’s a New York[i], rientrata finalmente in Italia qualche anno dopo. La vicenda collezionistica e le testimonianze dei critici comprovano l’importanza del dipinto e sarà dunque necessario, per evidenziarne il valore storico e formale, ripercorrerne le menzioni, che si dipanano per quasi un secolo.
Prima del 1917 la tavola era conservata a Londra, nella prestigiosa raccolta di Sir Philip Burne-Jones, pittore di buon livello, ma noto soprattutto in quanto figlio primogenito di Sir Edward Burne-Jones e di Georgiana Macdonald. Alla morte del padre, genio riconosciuto dell’arte nell’Inghilterra vittoriana e prima fonte d’ispirazione delle correnti intellettuali dell’estetismo e del simbolismo, Philip ne ereditò il titolo di baronetto e la disposizione estetica verso un modello di bellezza che traeva spunto dai dipinti italiani del Quattrocento. Il padre del resto era stato nel gruppo dei seguaci di Ruskin, che nell’arte italiana del XV secolo avevano scovato quel sentimento della natura poi andato via via affievolendosi nelle epoche successive[ii]. Philip insieme alla madre, prima biografa di Sir Edward[iii], condusse avanti le convinzioni estetiche – che erano state, a metà Ottocento, quelle della Confraternita dei Preraffaelliti – fin dentro il nuovo secolo, sia col mestiere di ritrattista, nutrito dal profondo studio della pittura fiorentina da Botticelli ad Andrea del Sarto, sia ovviamente con la passione del collezionismo. Alla sua morte nel 1926, la raccolta fu venduta in asta da Sotheby’s[iv] e in catalogo compaiono parecchi dipinti toscani della fine del Quattrocento – molti di scuola botticelliana – ma non questo, che doveva essere uno pezzi più pregevoli della collezione e che verosimilmente a quest’epoca era già passato, prima presso la galleria londinese dell’antiquario Joseph Duveen, quindi a New York nella collezione dell’avvocato Samuel Untermeyer[v]. Del resto, la prima menzione storiografica del dipinto la ritroviamo nel catalogo della mostra antiquaria, tenuta nel 1917 a New York presso le Kleinberger Galleries: qui era esposta una derivazione, di qualità sensibilmente più bassa, della nostra tavola[vi], derivazione già resa nota da Frederick Mason Perkins[vii] come opera di Benvenuto di Giovanni; nella breve scheda dedicata a questa replica, Osvald Sirén e Maurice Brockwell sostenevano di aver visto a Londra negli anni precedenti proprio il nostro dipinto, che l’opera in quel momento era in vendita – probabilmente già presso la Duveen Gallery – e che a loro avviso era assegnabile non a Benvenuto bensì al figlio Girolamo, attivo nella bottega paterna a partire dal 1490 circa.
Alla morte dell’avvocato Untermeyer, nota personalità politica nel Partito Democratico e amico del presidente Roosevelt, nel 1940 il dipinto fu venduto, insieme all’intera raccolta, alle Park Bernet Galleries di New York col riferimento ormai consueto a Girolamo di Benvenuto. Ad acquistarlo nell’occasione fu Jean Paul Getty – di nuovo con la mediazione di Duveen – che dapprima lo portò con sé in Inghilterra, a Sutton Place, per poi donarlo ancora negli Stati Uniti al museo che porta il suo nome[viii]. La tavola quindi venne nuovamente pubblicata con attribuzione a Girolamo in tutti i cataloghi del museo[ix], nonché da Bernard Berenson negli Indici[x]. È merito di Burton Fredericksen – il quale tuttavia menziona un parere a riguardo da parte di Federico Zeri – quello di aver ricondotto la tavola nel catalogo di Benvenuto e di aver proposto una collocazione negli anni attorno al 1480[xi], periodo che corrispondeva, secondo un noto giudizio di Ferdinando Bologna[xii], alla fase ‘padovana’ dell’attività del pittore. A partire poi dal Census di Fredericksen e Zeri[xiii], il dipinto venne in seguito sempre pubblicato con la giusta attribuzione a Benvenuto.
L’artista era nato nel 1436 a Siena e aveva trascorso l’apprendistato verosimilmente nella bottega di Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta (1410 – 1480). Attivo in proprio a partire dal 1453, Benvenuto tuttavia continuò a mantenere un rapporto di proficua collaborazione col maestro, come attestano gli interventi nelle tre grandi scene absidali dipinte dal Vecchietta nel Battistero di San Giovanni[xiv]. Nel 1466 realizza la grande tavola con l’Annunciazione fra i santi Michele e Caterina d’Alessandria per la chiesa di San Girolamo a Volterra[xv]. Già in quest’opera è evidente la molteplicità di suggestioni formali che segnarono tutta la carriera del pittore: come Matteo di Giovanni, Benvenuto guarda alla tradizione trecentesca senese nella disposizione dei personaggi, ma al contempo menziona i fiorentini di metà Quattrocento e soprattutto apre alla cultura dell’Italia settentrionale, attraverso una qualità di segno che rimanda, seppur indirettamente, a Mantegna. Del resto Siena stava per diventare – con la presenza in città di due grandi personalità artistiche come Liberale da Verona e Girolamo da Cremona – una realtà certamente legata alle medesime sperimentazioni formali che intanto andavano maturando nell’area padana e, tramite alcune diramazioni, anche in Umbria e nelle Marche.
È soprattutto nell’ambito della produzione miniata che Benvenuto comincia ad accostarsi ai modelli di Liberale, ma una forte indole che in senso lato possiamo definire come ‘squarcionesca’ – mediata a Siena appunto attraverso il maestro veronese – si respira anche in un’opera su tavola che costituisce senza dubbio il precedente più calzante per il dipinto qui in esame: si tratta della Natività realizzata nel 1470 ancora per il Convento di San Girolamo a Volterra e oggi presso la Pinacoteca Civica[xvi]. In quest’opera Benvenuto inaugura (almeno per quanto riguarda la sua opera) un’iconografia, poi replicata nella nostra tavola: si tratta della visione della Natività che ebbe santa Brigida di Svezia, in pellegrinaggio a Betlemme nel 1372 – l’episodio è narrato dalla stessa Brigida, ma esisteva un libello latino che traduceva il testo svedese e a Siena, in particolare, vi era larga devozione per la santa scandinava, dato lo stretto rapporto che questa ebbe a Roma nell’ultimo anno di vita con Caterina[xvii]. Nella visione di Brigida compare Dio Padre e lo spirito santo che illuminano verticalmente il Bambino, appena venuto al mondo davanti alla grotta, fra le preghiere della madre, di san Giuseppe e di due pastori. Benvenuto riprende quasi puntualmente la scena presentando le figure frontalmente e indugiando su un plasticismo, d’impianto tuttavia lineare, che rimanda alle opere mature di Donatello e quindi al contempo a Firenze e a Padova. Siamo come detto nel 1470, all’inizio di un decennio importassimo sia per la pittura senese che per la carriera di Benvenuto: è il momento in cui prende quota la figura di Francesco di Giorgio e più in generale si assiste al cambio di generazione nei favori della committenza. Benvenuto lavora agli affreschi dell’Ospedale di Santa Maria della Scala, ma anche a sontuose tavole come l’Annunciazione della chiesa di San Bernardino a Sinalunga[xviii] e la grandiosa pala d’altare per la famiglia Borghesi in San Domenico a Siena[xix] (oggi smembrata). Nella seconda metà del decennio, secondo l’avviso di Maria Cristina Bandera, si collocano una serie di opere a destinazione privata, fra le quali appunto il nostro dipinto. È una fase di maturità raggiunta per il pittore, capace di sintetizzare nel piccolo formato gli stimoli già precedentemente dovuti all’influenza diretta di Francesco di Giorgio, menzionato fra i modelli nella semplificazione compositiva e nel vigore plastico delle figure – alcune delle quali, come la Vergine o il pastore calvo collocato dietro Giuseppe, rimandano proprio alla contemporanea pala del Martini con la Natività con i santi Bernardo e Tommaso d’Aquino, oggi conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena[xx].
In definitiva dunque il nostro dipinto, cui si accosta la Pietà della Collezione Berenson a Villa i Tatti a Fiesole, è un’altissima testimonianza delle contaminazioni culturali che si verificavano in Italia centrale negli anni ’70 del Quattrocento. Non è casuale che opere come questa siano state giudicate, nel corso dei secoli e soprattutto nell’Ottocento, espressioni di una ‘maniera italiana’, intesa talvolta in senso complessivo dalla cultura anglosassone. È suggestivo dunque chiudere questo testo con un’ipotesi storica, non verificabile per assenza di documenti, ma certamente plausibile e straordinariamente affascinante: ovvero che la tavola poi confluita nelle raccolte di Philip Burne-Jones fosse stata acquistata dal padre Edward nel corso di uno dei soggiorni a Siena consumati negli anni 1870. La Natività di Benvenuto, agli occhi di un grande artista che nella pittura italiana trovava una continua fonte di ispirazione, soprattutto di natura sentimentale, era lo strumento di introspezione verso un Medioevo sognato, laddove la semplificazione della forma suggeriva all’intellettuale preraffaellita il ritorno all’origine dei valori cristiani, e quindi, nella sua ottica, una totale palingenesi dello spirito umano.
[i] Christie, Manson & Woods International Inc., Important and Fine Old Master Paintings, New York, 21/5/1992, n. 7.
[ii] Sul rapporto tra i pittori allievi di Ruskin e l’Italia si rimanda ai saggi e alle schede del volume: I Preraffaelliti. Il sogno del ’400 italiano da Beato Angelico a Perugino, da Rossetti a Burne-Jones, a cura di C. Harrison, catalogo della mostra (Ravenna, Museo d’Arte della Città, 28/2 – 6/6/2010), Cinisello Balsamo 2010.
[iii] G. Burne-Jones, Memorials of Edward Burne-Jones, 2 voll., New York-London 1904.
[iv] Sotheby’s, The Property of the Late Sir Philip Burne-Jones. Sold by Direction of the His Executors, Londra, 8/12/1926.
[v] Le informazioni sui passaggi di collezione si ricavano dal catalogo della vendita della raccolta Untermeyer: Parke-Bernet Galleries, The Untermeyer Collection, Owned by the Late Samuel Untermyer and His Children: Paintings, Gothic and Renaissance Furniture, Tapestries and Other Works of Art, New York, 10-11/5/1940, n. 48.
[vi] O. Sirén, M. W. Brockwell, Catalogue of a Loan Exhibition of Italian primitives in aid of the American War Relief, catalogo della mostra (New York, F. Kleinberger Galleries), New York 1917, pp. 170-171, n. 66.
[vii] F. Mason Perkins, Alcuni dipinti senesi sconosciuti o inediti, in “Rassegna d’arte”, XIII, 1913, p. 123.
[viii] B. B. Fredercicksen, D. D. Davisson, Benvenuto di Giovanni, Girolamo di Benvenuto. Their altarpieces in the J. Paul Getty Museum and a summary catalogue of their paintings in America, Malibu (CA) 1966, p. 18.
[ix] W. Valentiner, P. Wescher, The J. Paul Getty Museum. Guidebook, Los Angeles 1954, pp. 24-25; J. P. Getty, E. Le Vane, Collector’s Choice, Londra 1955, p. 212; B. B. Fredericksen, Paintings in the J. Paul Getty Museum, Malibu (CA) 1965, p. 15, n. G-29, tav. 9; J. P. Getty, The Joys of Collecting, Malibu 1965 (CA) p. 88.
[x] B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance. A list of the principal artists and their works, III, Central Italian and North Italian schools, Londra 1968, I, p. 187.
[xi] Fredericksen Davisson cit., 1966, pp. 17-18.
[xii] F. Bologna, Miniature di Benvenuto di Giovanni, in “Paragone”, 51, 1954, pp. 15-19.
[xiii] B. B. Fredericksen, F. Zeri, Census of pre-nineteenth-century Italian paintings in North American public collections, Cambridge (MA) 1972, p. 26.
[xiv] M. C. Bandera, Benvenuto di Giovanni, Milano 1999, pp. 213-214, n. 2.
[xv] Bandera cit. 1999, pp. 30, 33-37.
[xvi] E. Carli, Volterra nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa 1978, pp. 59-60.
[xvii] Sul culto di santa Brigida in Italia e la sua iconografia si vedano i contributi del volume Santa Brigida, Napoli, l’Italia, a cura di O. Ferm, A. Perriccioli Saggese, M. Rotili, Atti del Convegno di studi italo-svedese (Università di Stoccolma, Santa Maria Capua Vetere, 10 – 11/5/2006), Napoli 2009. Si veda inoltre: M. C. Campone, Brigida di Svezia: regina di profezia, Milano 2012; N. B. A. Debby, Santa Brigida di Svezia nell’arte fiorentina, in Id., Predicatori, artisti e santi nella Toscana del Rinascimento, Firenze 2015, pp. 133-148.
[xviii] C. Alessi, in Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena 1450 – 1500, a cura di L. Bellosi, catalogo della mostra (Siena, Chiesa di Sant’Agostino, 25/4 – 31/7/1993), Milano 1993, pp. 270-271, n. 46.
[xix] M. Seidel, Sozialgeschichte des Sieneser Renaissance-Bildes: Studien zu Francesco di Giorgio, Neroccio de’ Landi, Benvenuto di Giovanni, Matteo di Giovanni und Bernardino Fungai, in “Städel-Jahrbuch”, XII, 1989, pp. 76-83.
[xx] A. Angelini, in Francesco di Giorgio… cit., pp. 314-317.