Luca Giordano
(Napoli 1634 - 1705)
Le Storie di Perseo
Olio su vetro, 55 x 63,6 cm (21.65 x 25.04 inches)
Luca Giordano
(Napoli 1634 - 1705)
Le Storie di Perseo
Olio su vetro, 55 x 63,6 cm (21.65 x 25.04 inches)
Rif: 651
Opera non disponibile
Al centro è la lastra vitrea più vasta, che raffigura ‘La lotta di Perseo contro Fineo e i suoi compagni’; alla destra, in senso antiorario, è ‘Perseo che libera Andromeda’; segue in basso ‘Arianna addormentata’; a sinistra è ‘Pan e Siringa’; in alto è ‘Ulisse e i suoi compagni attirati dalle sirene a Scilla e Cariddi’. Le modalità di assemblaggio dell’oggetto pongono il problema di comprenderne la destinazione originaria. Il fatto che le cinque lastre siano montate in modo da formare – se viste in sezione – un volume a tronco di piramide, sembra alludere al coperchio di un cofanetto o di un forziere di lusso (nel caso tale coperchio fosse alla sommità di tale forziere), o alla sezione centrale di un grande monetiere). Senza l’ausilio di strumenti diagnostici è al momento impossibile stabilire se e quanto la perfetta incorniciatura che osserviamo attualmente – forse della fine del Settecento, forse lievemente più tarda – rechi parte di quella originale. In ogni caso intorno all’immagine centrale si compone un quartetto di scene legate ad amori e storie tramandati dal mito classico, e nulla contraddice l’idea che l’oggetto in discussione, quale che fosse la sua funzione originaria, fosse formato dagli stessi elementi che osserviamo ora, nella stessa posizione. La prima osservazione da compiere su quest’oggetto è che ci è giunto in eccezionali condizioni conservative, che ci consentono di verificare appieno le intenzioni del suo autore. Va poi rilevato che l’impegno formale con cui i dipinti sono eseguiti li eleva su un piano molto diverso da quello usuale delle opere eseguite su vetro per l’ornamento figurato di mobili o altri elementi di arredo, anche se la destinazione era probabilmente questa anche per l’opera in discussione. In ogni caso, pur nella differenza di ductus pittorico derivante dall’impiego di vetro come supporto, i dipinti mostrano caratteri stilistici tipici della pittura napoletana della seconda metà del Seicento, e ritengo vadano attribuiti a Luca Giordano (Napoli, 1634 – 1705) e forse in parte alla sua bottega. Sin dalla Vita dedicata all’artista da Bernardo de’ Dominici è noto come Luca Giordano sia stato virtuoso della tecnica della pittura su vetro, e che la sua attività in tale campo si sviluppò al punto da formare una vera e propria bottega specializzata. Sotto il controllo del maestro lavorarono Carlo Garofalo, Andre Vincenti, Domenico Perrone, Francesco della Torre e Domenico Coscia (cf. de’ Dominici 1742-44: III, 452). La critica moderna si è occupata poco più che di passata di questa costola della produzione di Giordano, che grazie alla mediazione del già citato Carlo Garofalo sarebbe stata all’origine della sua permanenza in Spagna come pittore del Re dal 1692 al 1702, e che caratterizzò anche la sua attività in tale decennio (cf. A. Gonzalez-Palacios in Mostra Napoli 1984: II, 293-296; L. Martino in Mostra Napoli 1984: II, 422-430; Martino 1992; cenni in Ferrari-Scavizzi 1992, I: 123, 232 nota 10; Martino in mostra Napoli-Vienna-Los Angeles 2001-2002: 248-249, n. 80). Tra i pochi dipinti su vetro considerati autografi di Giordano vi sono l’ ‘Adorazione dei Magi’ e l’ ‘Adorazione dei pastori’ a San Ildefonso, Granja Real, datati 1688 (cf. Ferrari-Scavizzi 1992, I: 322, A435; II: 705, figg. 567-568). Ultimamente sono state tentate anche attribuzioni a Carlo Garofalo (cf. le quattro storie mitologiche a Madrid, presso la Galleria Artemisia, e l’ ‘Adorazione dei Magi’ a Roma, Collezione Funaro); inoltre un ‘Ercole e Onfale’ in ottagono, correttamente ascritto a Luca Giordano, è a Milano Collezione Giulini; e il Prof. riccardo Lattuada gli ha attribuito una ‘Pietà' Passata nel 2011 a Vienna presso Dorotheum. Senza poter qui discutere ogni attribuzione a Giordano di dipinti su vetro, va detto che il problema cui siamo di fronte è quello di stabilire se l’opera in discussione sia interamente o in parte di Luca Giordano o di suoi aiuti, ed in che modo si ponga rispetto alle opere del maestro. Passiamo perciò a inquadrare stilisticamente le storie di cui si compone l’opera, partendo dal ‘Combattimento tra Perseo e Fineo’. Di questa storia Giordano produsse varie versioni: a Londra, National Gallery; a Genova, Palazzo Reale; a South Hadley (Mass.); a Mount Holyhoke College Art Museum; e a Madrid, Prado (cf. rispettivamente Ferrari-Scavizzi 1992: 617 fig. 381; 618, fig. 383; 797, fig. 790; 619, fig. 387). Un’altra versione è nota solo attraverso una stampa. La presente versione non è pienamente a nessuna di quelle note, e nessun particolare di essa è meccanicamente sovrapponibile ad altri dettagli di opere di Giordano, ma tipicamente sue sono le fisionomie di tutti i protagonisti, e specialmente quella di Perseo. Dal punto di vista cromatico e anche per le architetture di sfondo il legame stilistico più forte si avverte rispetto alle opere di Giordano tra settimo e ottavo decennio, quelle cioè di gusto più spiccatamente neoveronesiano, da cui derivano molti dettagli abilmente riutilizzati. Peraltro i modelli per le figure sono perlopiù raffrontabili a quelli di opere dell’ottavo-nono decennio del Seicento. Ad esempio, il dettaglio della testa inturbantata di azzurro del guerriero di spalle in primo piano con lo scudo di testuggine si collega a quello del barcaiolo a destra nella ‘Vocazione dei Santi Pietro e Andrea’, già sul mercato a Londra, datata verso il 1685 (cf. Ferrari-Scavizzi 1992: 312, A371; II, 109, tav. LXVI). In molti particolari del riquadro centrale emerge una perizia straordinaria; ad esempio nella resa dei volti dei compagni di Fineo che vengono pietrificati dalla vista della testa di Medusa, divenendo così gradualmente grigi: drammaticamente oggettiva è la resa di questo effetto nel volto del guerriero che cerca la lancia, ancora solo chiazzato di grigio. Nelle quattro lastre sui lati è più agevole trovare rispondenze dirette con opere di Giordano: ‘Perseo e Andromeda’ è in rapporto con il dipinto omonimo già a Napoli, Galleria Napoli Nobilissima un’opera per Lattuada degli anni Ottanta, ma secondo altre opinioni del decennio successivo (quindi del periodo spagnolo di Giordano, 1692-1702), poiché molto simile nella composizione alla versione a Barcellona, Università (su cui cf. Ferrari-Scavizzi 1992: I, 347, A620; II, fig. 789. A Perez-Sanchez in Mostra Napoli-Vienna-Los Angeles 2001-2002: 338-339, n. 118, ricostruisce la provenienza della serie dalla Casita del Principe all’Escorial della serie di quattro dipinti a soggetto mitologico dispersi dopo l’incendio del 1734; serie a cui appartiene anche ‘Perseo e Andromeda’ a Barcellona). Più difficile trovare un ancoraggio preciso per l’ ‘Arianna addormentata’, che è una figura atipica nel mondo figurativo di Giordano, forse anche per l’iconografia piuttosto rara nella sua produzione (ma chiaramente desunta da noti modelli classici. Del tutto tipici di Giordano, invece, sono i tre eroti che guidano il giaciglio a forma di conchiglia dell’eroina addormentata, trainato sull’acqua da una coppia di delfini. Per ‘Pan e Siringa’ abbiamo invece un raffronto agevole con la versione di Giordano e studio a Hampton Court, Collezioni reali, e in modo più traslato con quella già a Londra, Walpole Gallery, datata verso il 1685 (cf. Ferrari-Scavizzi 1992: I, 192, 212, fig. 55; A405; 101, tav. LXII). Infine, per la lastra che raffigura ‘Ulisse e i suoi compagni Scilla e Cariddi, attirati dalle sirene’, si può notare che vari dettagli nell’esecuzione delle tre figure ricorrono qui e là nella produzione di Giordano del sesto e settimo decennio. L’acconciatura elaborata della sirena di spalle in primo piano è una variazione sul disegno della splendida figura femminile di spalle al centro del ‘Convito degli Dei con Adone’ a Napoli, collezione privata, un’opera datata tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà del decennio successivo (cf. N. Spinosa in Mostra Napoli-Vienna-Los Angeles 2001-2002: 116-117, n. 20). Al tempo stesso la figura appare essere uno scaltro ribaltamento di quella della ninfa nel già citato ‘Pan e Siringa’ già a Londra, Walpole Gallery. Vari altri raffronti sono possibili per le altre due figure di sirene; tra essi quello con una figura in basso a sinistra del ‘Ritorno di Persefone’ a Chalon-sur-Saône, Musée Vivant Denon, e rispetto alla figura della Frode nell’ ‘Allegoria della Prudenza’, bozzetto per lo scomparto omonimo affrescato da Giordano nella Galleria Medici-Riccardi (cf. rispettivamente D.M. Pagano e G. Finaldi in Mostra Napoli-Vienna-Los Angeles 2001-2002: 118-119, n. 21; 268-269, n. 81m). A questo punto va brevemente ridiscussa la questione di quale grado di autografia di Giordano si possa misurare nell’opera in discussione. Non mi sembra si riscontri un forte iato dal punto di vista dell’impegno formale nelle cinque lastre; certo la lastra centrale appare più rifinita e- forse anche in virtù delle maggiori dimensioni – è sorprendente per la definizione di ogni dettaglio; ad esempio la testa di Perseo, con l’elmo azzurro toccato dai riflessi sul metallo, è una pezzo di pittura non difficile da reperire, per qualità esecutiva e forza di definizione, in un’opera pienamente autografa di Giordano. Le cinque lastre più piccole, forse anche per le dimensioni miniaturistiche delle immagini, sono eseguite in modi lievemente più compendiari, e le figure mostrano i contorni lievemente tondeggianti delle opere talvolta ascritte su base stilistica a Carlo Garofalo, ma il livello di esecuzione è nettamente superiore. Se è vero, come è vero, che la pittura su vetro è caratterizzata dal costante riuso di stampe, figure, disegni e modelli desunti dalla pittura di dimensioni monumentali o comunque non miniaturistiche, va osservato che nel valutare la pittura su vetro la critica non si è particolarmente soffermata sul fatto che tale tecnica implica letteralmente un ribaltamento, una inversione dell’approccio esecutivo tradizionale della pittura ad olio su tela (o su tavola): si comincia con quelle che in un dipinto sono le lumeggiature finali per poi allargarsi man mano alle stesure che in un dipinto sono quelle iniziali, e cioè le figure, le architetture, lo sfondo, la preparazione e così via. Se valutata alla luce di queste considerazioni, l’opera in questione appare un impressionante esempio di virtuosismo pittorico; virtuosismo che per Luca Giordano fu una bandiera. Per capire queste inclinazioni basta anche solo pensare alle sue opere su vimini, terracotta e intonaco prodotte a Firenze in competizione con una tradizione che faceva capo a Giovanni da San Giovanni; e non sembra un caso che si tramandi come la fama di Giordano sarebbe inizialmente giunta in Spagna innanzitutto mediante i suoi dipinti su vetro. Volendo formulare qualche ipotesi in più sulla destinazione originaria dell’opera in discussione, va detto che le lastre vitree sono di una qualità tale da far pensare più al coperchio di uno scrigno che allo sportello di un mobile: sono eseguite per apprezzarne la fattura da una distanza molto ravvicinata, dalla quale non sfuggono né le eventuali abbreviazioni né la cura nei dettagli. La mia opinione è dunque che sia certamente di Giordano la lastra centrale, e che parziali interventi della bottega possano essere ascritti alle quattro lastre ai lati, ma sempre sotto il controllo diretto del maestro e comunque con la sua ultimazione. Siamo perciò di fronte a un’opera la cui riscoperta fornisce nuove prospettive e nuove informazioni sulle abilità di Giordano di fronte ad un supporto atipico come il vetro, qui non utilizzato per un’opera solo decorativa ma impiegato per una eletta prova di destinazione privata. Dato l’interesse di questo ritrovamento, mi propongo di dar conto di quanto ho qui ricercato per Lei in una prossima pubblicazione scientifica. Riccardo Lattuada