Catarino Veneziano

(Attivo nelle Terre di Venezia dal 1362 al 1382)

Incoronazione di Maria, c. 1360

tempera su tavola, fondo oro, 34,7 x 19,6 cm (13.66 x 7.72 inches)

Campi obbligatori*

Catarino Veneziano

(Attivo nelle Terre di Venezia dal 1362 al 1382)

Incoronazione di Maria, c. 1360

tempera su tavola, fondo oro, 34,7 x 19,6 cm (13.66 x 7.72 inches)

Rif: 878

Provenienza: Collezione privata

Descrizione:

Cristo e la Vergine sono assisi su un trono ligneo, collocato sopra uno zoccolo concavo sulla fronte. Egli sta cingendole il capo della corona, mentre la Madre, descritta col volto di tre quarti e con le mani giunte in preghiera, rivolge lo sguardo intenso e partecipe verso l’osservatore. Sui lati dello scranno si collocano quattro figure di angeli; altri tre si sporgono dalla sommità del podio, mentre suonano i loro strumenti musicali – un tamburello, un organetto e una viola –. La composizione assume un carattere prezioso e favolistico, laddove l’ampio uso dell’oro trasporta i personaggi in una dimensione onirica, avulsa dalla realtà, e che richiama apertamente i modelli formali della tradizione orientale.

Il dipinto, già parte della raccolta Lingenauber a Monaco, è tradizionalmente assegnato al catalogo delle opere del pittore Catarino di Marco da Venezia, uno degli artisti più importanti del contesto lagunare nella seconda metà del Trecento. Nato verosimilmente all’inizio degli anni ’40, della medesima generazione quindi del grande pittore Lorenzo, egli si segnala quale uno degli interpreti di maggior qualità, nell’epoca del passaggio, a Venezia, dalla maniera giottesca di marca padovana verso i moduli lineari della stagione del Tardogotico[i]. Figlio di artista – forse il padre, come suggerisce Alessandro Marchi[ii], è da individuarsi in quel Marco di Martino che firma la pala con la Vergine col Bambino fra i santi Giacomo Maggiore e Antonio Abate venerati dai membri di una Confraternita di Battuti, dipinta per una delle sedi della Scuola Grande della Carità a Venezia[iii] – e collaboratore in gioventù del più anziano maestro Donato, fin dagli esordi Catarino si segnala per uno stile pervicacemente legato alla tradizione neobizantina di Paolo Veneziano, al punto che spesso si è postulata una discendenza di tipo familiare rispetto al grande protagonista della pittura adriatica di primo Trecento. Di certo sappiamo che nel 1372 Catarino firma insieme a Donato la pala dell’Incoronazione della Vergine, oggi conservata presso la Pinacoteca Querini Stampalia di Venezia[iv]: opera questa orgogliosamente inattuale, nella quale i pittori riprendono i modelli di Paolo e li nutrono di elementi lineari, che rimandano ancora più indietro, verso la lezione dei mosaicisti di marca costantinopolitana attivi in laguna nel XII e nel XIII secolo. Assai diverse, come già notava Pallucchini[v], appaiono le due Incoronazioni della Vergine, ad opera questa volta del solo Catarino, oggi alle Gallerie dell’Accademia: la tavola centrale del Trittico (ma forse in origine gli scomparti erano di numero maggiore) con i santi Lucia e Nicola di Tolentino reca solo la firma del maestro e non la data, ma la sua esecuzione è assimilabile all’anno 1375, inciso invece alla base delle figure maggiori nella tavola erratica sempre dell’Accademia. Il carattere, assai più accostante, del ritratto della Vergine in queste opere – nelle quali ella si rivolge direttamente all’osservatore e indica il Figlio – ha portato i commentatori moderni a riconoscervi l’influenza dei modi di Lorenzo, e le notazioni espressive portate nell’arte lagunare dall’arrivo di Giovanni da Bologna all’inizio dell’ottavo decennio del secolo[vi]. Con l’Incoronazione qui in esame siamo verosimilmente ancora qualche anno più avanti: sappiamo dai documenti difatti che Catarino continuò a lavorare con l’anziano Donato fino al 1386, anno in cui i lori nomi sono riportati, assieme a quello del più giovane Pietro di Niccolò, nel contratto di allogazione di un Crocifisso realizzato per il convento di San Domenico a Zara[vii]. Fu forse la reiterata frequentazione di un maestro tradizionale – nonché lo scambio di impressioni con artisti della medesima indole come i minori Guglielmo e Stefano di Sant’Agnese – a condurre Catarino ad una vera e propria saldatura tra le memorie bizantine di gioventù e la nuova impronta lineare dell’arte veneziana, maturata in particolar modo dal 1380 in avanti. Nelle eleganti digressioni dei panneggi, come pure nella raffinatezza delle decorazioni in oro – si notino soprattutto i preziosi disegni fitomorfi sugli abiti delle figure –, Catarino porta all’estremo soluzioni formali già inaugurate in opere importanti come il Polittico in passato di collezione Orsi ad Ancona e oggi al Walters Museum di Baltimora[viii] o la Madonna dell’Umilità dell’Art Museum di Worcester[ix]. In definitiva l’acquisizione agli studi di questa ammirevole e inedita tavola – gratificata pure dall’intatto stato di conservazione – permette di studiare con maggior contezza gli esiti ultimi della traiettoria formale di un grande maestro, testimone di una delle stagioni di maggior pregio della pittura veneziana.

 

 

 

 

 

 



[i] Su Catarino Veneziano la bibliografia è piuttosto cospicua: fra i numerosi studi si ricordino almeno: L. Venturi, Le origini della pittura veneziana 1300-1500, Venezia 1907, pp. 32-34; V. Lazarev, Maestro Paolo e la pittura veneziana del suo tempo, in “Arte veneta”, VIII, 1954, pp. 77-89; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 195-200; V. Scassellati Riccardi, Una 'Madonna' di Caterino, in “Arte Antica e Moderna”, 27, 1964, pp. 295-296; M. Dazzi, L’ “Incoronazione della Vergine” di Donato e Caterino, in “Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti”, 1964-1965, pp. 515-525; F. D’Arcais, Per il catalogo di Caterino, in “Arte veneta”, XIX, 1965, pp. 142-144; I. Petricioli, Jedno Caterinovo djelo u Zadru, in “Peristil” 8-9, 1965-1966, pp. 57-62; F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora 1976, I, pp. 55-58, n. 34; F. D'Arcais, voce Caterino, in Dizionario biografico degli italiani, XXII, 1979, pp. 385-387; M. Lucco, Caterino di Marco da Venezia, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, II, pp. 561-562; Id., Caterino di Marco da Venezia o Caterino Veneziano, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano 1992, II pp. 522-523; C. Guarnieri, Per un corpus della pittura veneziana del Trecento al tempo di Lorenzo, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 30, 2006, pp. 1-131 (pp. 27-29).

[ii] A. Marchi, Trecento veneziano nelle terre adriatiche marchigiane, in Pittura veneta nelle Marche, a cura di V. Curzi, Cinisello Balsamo 2000, pp. 29-51 (p. 40).

[iii] A. M. Cavanna, La pala di Marco di Martino nella Scuola Grande della Carità e la pittura a Venezia nella seconda metà del Trecento, San Giuliano Terme 2006.

[iv] M. Muraro, in Venezia e Bisanzio, a cura di S. Bettini, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 8 giugno – 30 settembre 1974), Milano 1974, n. 108.

[v] R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 197-198.

[vi] C. Guarnieri, Per un corpus della pittura veneziana del Trecento al tempo di Lorenzo, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 30, 2006, pp. 1-131 (p. 27).

[vii] K. Prjiatelj, Un documento zaratino su Caterino e Donato, in “Arte veneta”, XVI, 1962, p. 145.

[viii] F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora 1976, I, pp. 56-58, n. 34. L’opera è ricordata nella raccolta del conte Orsi da parte di Giovan Battista Cavalcaselle: G. B. Cavalcaselle, J. A. Crowe, Storia della pittura in Italia, IV, Firenze 1900, p. 321.

[ix] Inv. 1923.213. La tavola è firmata. European Paintings in the Collection of the Worcester Art Museum, Worcester 1974, I, pp. 334-336.