Jacques Courtois, detto il Borgognone

(St.Hippolyte 1621 - Roma 1676)

Mattias de Medici e Odoardo Farnese Firmano il Trattato di Pace a Centino, 1652

olio su tela, 93 x 134 cm (36.61 x 52.76 inches)

Campi obbligatori*

Jacques Courtois, detto il Borgognone

(St.Hippolyte 1621 - Roma 1676)

Mattias de Medici e Odoardo Farnese Firmano il Trattato di Pace a Centino, 1652

olio su tela, 93 x 134 cm (36.61 x 52.76 inches)

Rif: 873

Provenienza
Mattias de’ Medici, Villa di Lappeggi (Firenze), 1652-1667
Cardinal Francesco Maria de’ Medici, Villa di Lappeggi (Firenze), 1667-1711
Andrea di Girolamo Gerini Bonciani, per eredita', Firenze, 1711-1766?
Lord William Russell, Londra, 1766?-1809
Hazlitt Gallery, Londra, 1977
John Frederic Tillotson, Londra, fino al 1980
Christie’s, Londra, 1980, 1985
Collezione privata, Torino
 

Bibliografia
F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno da Cimabue in qua [Firenze 1681-1728], edizione a cura di F. Ranalli, vol. V, Firenze 1847, p. 211
L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, Roma 1977, II, p. 635, fig. 105.1 
N. Barbolani di Montauto, Pandolfo Reschi, Firenze 1996, p. 94 (illustrated)
G. Sestieri, I Pittori di Battaglie. Maestri italiani e stranieri del XVII e XVIII secolo, Roma 1999, p. 185, fig. 63
E. Gavilli, Lappeggi, luogo di delizie del Serenissimo principe Mattias, in «Arte Musica Spettacolo. Annali del Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo», I, 2000, pp. 267-268, fig. 5

Descrizione:

In un rigoglioso paesaggio montuoso, sotto un cielo terso dai riflessi violetti, si è dato convegno un gran numero di soldatesche, che affluiscono da ogni parte per convergere verso il centro della composizione, a far da corona a un piccolo gruppo di uomini che, in cerchio, sembrano discutere animatamente questioni di grande importanza. In lontananza, a destra, si scorge un ponte con un edificio annesso, probabilmente un posto di dogana, mentre il fiume scompare nella stretta vallata tra i due monti. La scena, popolatissima, è orchestrata con estrema attenzione, e per quanto animata da numerosi personaggi nei più vari atteggiamenti e da vivaci dettagli, come il corteo militare che scende dalla montagna sulla sinistra, tutto concorre a riportare l’attenzione sul gruppo centrale. L’atmosfera è solenne, gravida di attesa e di tensione: sembra quasi di poter udire il brusìo e il chiacchiericcio degli astanti; anche i cavalli sono nervosi, trattenuti a stento dagli scudieri.

La scena è decisamente inusuale per il Borgognone, celebre per le sue battaglie così drammatiche e movimentate e costituisce un unicum nella sua produzione. Le citazioni inventariali richiamate in precedenza ci orientano verso un episodio della prima Guerra di Castro, che fortunatamente una cronaca dettagliata dell’epoca, Del Mercurio, overo Historia de’ Correnti Tempi di Vittorio Siri, ci consente di precisare definitivamente. L’autore riferisce di una serie di incontri tra il duca Odoardo Farnese e i suoi collegati, avvenuti nell’autunno del 1642 tra Ponte a Centino, sede del campo militare, e il ponte Gregoriano, presso la città di Acquapendente, riconoscibile sulla destra. Alle trattative, che dovevano stabilire le condizioni della pace tra il Farnese e il papa per scongiurare il precipitare degli eventi in una guerra sanguinosa, presero parte insieme al duca di Parma il principe Mattias, il marchese Gabriele Riccardi, maggiordomo maggiore del granduca Ferdinando II di Toscana, il generale marchese Alessandro del Borro, maestro di campo, il marchese Giacomo Gaufrido, consigliere del Farnese, Hugues de Lionne, ministro e segretario di Stato di re Luigi XIV, e il conte Fulvio Testi, consigliere e segretario di Stato del duca di Modena. L’inventario del 1652 certifica la presenza del duca di Parma nel dipinto, ma tramite un riscontro coi ritratti dell’epoca si nota che anche alcuni dei sette personaggi citati sono effettivamente ben riconoscibili nel vivace gruppo al centro del dipinto.

I convenuti sono raccolti intorno a un tamburo da guerra che funge da improvvisato scrittoio, che ha il sapore di un aneddoto proveniente direttamente dai racconti del principe Mattias, su cui uno di loro sta stilando i termini dell’accordo che avrebbe condotto all’incerta pace di Castel Giorgio. Tali accordi infatti sarebbero stati ben presto infranti dai Barberini, aprendo un periodo di conflitto che si sarebbe concluso solo con le vittorie militari dell’esercito granducale guidato da Mattias, alleato del Farnese, nel 1643.
A dialogare con questa scena di alta diplomazia non stavano i dipinti di battaglia, posti altrove, ma la diretta conseguenza di essi. Sempre dalla cronaca di Siri veniamo a conoscenza che a conclusione del vittorioso assedio di Mongiovino Mattias volle comunque omaggiare gli avversari dell’esercito papale prima della loro resa definitiva, rendendo al maestro di campo Vincenzo della Marra “l’honore del rimbombo delle bombarde”, inviandolo poi prigioniero a Firenze con “dimostrasioni di straordinaria cortesia”. Il Siri inoltre non manca di elencare i prigionieri più eccellenti, nominando insieme al Marra i colonnelli Biagio Fusco, Carlo Pio di Savoia e Fabrizio Carafa, una vera e propria “rassegna” come quella descritta dagli inventari, e che una copia del dipinto, emersa recentemente sul mercato antiquario, ci conferma.  Il dialogo tra i due dipinti assume così un valore altamente simbolico, che va oltre la celebrazione del valore militare di Mattias. Il principe in questo caso intende sottolineare le proprie doti di politico prudente e avveduto, ma anche di avversario tanto implacabile quanto leale, di trionfatore magnanimo. Una celebrazione tutta privata, ancorata a due episodi ben definiti che lo vedono protagonista assieme ad altri personaggi ben riconoscibili, e quindi meno spendibile sul piano dinastico rispetto alle battaglie della Sala del Trucco.

Il dipinto è da far risalire all’estate del 1652, quando il Borgognone soggiornava a Lappeggi ospite del principe. La conferma arriva dal citato inventario del dicembre dello stesso anno, che segnala l’opera nella guardaroba della villa, già dotata di cornice. Siamo di fronte ai capolavori riconosciuti del Cortese, in una fase estremamente felice della sua produzione, nonostante la travagliata situazione familiare. Se le due battaglie della Guerra dei Trent’anni sembrano anticipare lo stile cupo e sulfureo influenzato da Salvator Rosa, il dipinto in oggetto denuncia ricordi della prima fase romana del pittore, evidente nei colori chiari e luminosi, fin quasi ad assumere intonazioni fiamminghe nella resa quasi raggelata della montagna coronata dalla cittadina fortificata, a suggerire forse la stagione ormai declinante, come nel cielo ampio e vibrante, quasi un ricordo delle opere di Claude Lorrain.

Proprio riguardo al cielo, il dipinto deve aver subito una riduzione nella parte alta, come dimostrerebbe anche la porzione di tela dipinta ripiegata sul telaio che è emersa durante il restauro. Stando alle indicazioni inventariali, in origine la tela doveva misurare all’incirca 125 cm in altezza rispetto agli attuali 92 cm, mentre la larghezza è rimasta praticamente invariata, circa 134 cm. Una copia del dipinto attribuita a Pandolfo Reschi apparsa sul mercato antiquario confermerebbe come la porzione di cielo fosse più ampia, mentre certifica di fatto l’integrità sulla larghezza.

Dopo la morte di Mattias, nel 1670 la villa di Lappeggi passò al cardinale Francesco Maria de’ Medici, che la tenne fino alla sua morte, nel 1711. Il cardinale abbellì la residenza con numerosi interventi rendendola un vero e proprio luogo di delizie, sede di una vivace corte che attirava spesso anche il Gran Principe Ferdinando.
La collezione di Mattias tuttavia non giunse intatta al prelato: alla morte del principe infatti il Granduca Ferdinando II aveva provveduto a far ritirare, tra gli altri, proprio i quattro celebri dipinti della Sala del Trucco, ben presto esposti negli appartamenti di Palazzo Pitti a Firenze.
Gli altri due dipinti nella stanza “del passare” invece ebbero un destino sensibilmente diverso: rimasero infatti nella disponibilità di Francesco Maria, che li mantenne nella loro posizione originaria, come testimonia un inventario della villa redatto nel 1696, nonché quello compilato subito dopo la morte del porporato, nel febbraio 1711. Francesco Maria aveva destinato tutti i suoi beni alla Congregazione di Carità di San Giovanni Battista, gli inventari del 1711 erano quindi preliminari alla vendita, che si svolse in più riprese quello stesso anno a Firenze, nel disabitato Palazzo Salviati di via del Corso. Alla dispersione della collezione parteciparono le maggiori famiglie della nobiltà fiorentina, che si contesero i numerosi capolavori provenienti da Lappeggi.
In particolare i due dipinti di Borgognone, assieme a un selezionato gruppo di opere, risultano acquisiti da Andrea di Girolamo Gerini Bonciani, di un ramo collaterale della famiglia Gerini. Se si esclude la spesa di 193 scudi per una grande tela del Volterrano, i due dipinti del Cortese risultano essere la voce più rilevante per il Bonciani, attestandosi a 274 scudi per la coppia. Le opere sono forse riconoscibili nei due “quadri” del Borgognone esposti nel 1724 da Ottavia Quaratesi, vedova del Gerini Bonciani, in occasione di una delle periodiche mostre alla SS. Annunziata per la festa di san Luca.

I due dipinti si ritrovano ancora, senza attribuzione, in un inventario del 1766 redatto dopo la morte di Andrea Carlo Gerini Bonciani, a cui fece seguito un’asta per ripianare alcuni debiti familiari. Il destino delle due opere da quel momento è meno chiaro: il ramo collaterale si estinse con Carlo Andrea Gerini Bonciani Pappagalli nel 1833, e tutto il patrimonio rientrò così nel ramo principale, che faceva capo all’epoca al marchese Carlo di Giovanni Gerini. Una parte di “masserizie e mobili” fu venduta nello stesso anno al mercante Andrea Braschi, mentre la restante parte del patrimonio, e quindi anche della collezione, raggiungeva il palazzo dei marchesi, ma dei due dipinti di Borgognone non risulta traccia.

Se la “Rassegna di uomini a cavallo” rimane tuttora non rintracciata, per il “Trattato di pace” si ha una possibile indicazione in un’asta inglese del 1809, in cui compare un dipinto di Borgognone che per dimensioni e per l’ampia descrizione, pur con un’errata interpretazione della scena, sembra calzare con la nostra opera. L’opera in questione proveniva dalla collezione di Lord William Russell, eccentrico esponente dell’aristocrazia inglese e membro del Parlamento, che come gran parte della nobiltà anglosassone frequentava spesso l’Italia e in particolare Firenze.
È probabilmente da questo momento che inizia la storia inglese del dipinto: Luigi Salerno nel 1977 segnalava l’opera presso la Hazlitt Gallery di Londra, da cui con ogni probabilità l’acquisì John Frederic Tillotson, collezionista noto per la sua raccolta di dipinti della Scuola di Barbizon, costituita principalmente grazie al suo rapporto di fiducia con la galleria londinese. Non è difficile immaginare che la sensibilità di paesista del Borgognone e la qualità della sua pennellata abbiano potuto affascinare anche un amatore della pittura dei Barbizon. Alla morte del collezionista, nel 1984, il dipinto era offerto in asta dagli eredi tramite Christie’s a Londra, da dove se ne perdono le tracce, fino a oggi.

Tracce per la fortuna visiva del dipinto

Come affermato in precedenza, l’influenza dello stile del Borgognone sui suoi successori è nota e riconosciuta da tempo, tuttavia furono proprio le opere realizzate per Mattias a rivestire un’importanza cruciale nel panorama fiorentino per la formazione dei pittori di battaglia, che si confrontarono fin da subito con queste opere capitali, di cui l’eco si ritrova in dipinti realizzati a quasi un secolo di distanza.

È stata già proposta una possibile, precoce consonanza tra i dipinti del principe e alcune opere presenti nella collezione del marchese Alessandro Del Borro, celebre uomo d’arme fiorentino che aveva condiviso con Mattias sia l’esperienza della Guerra dei Trent’Anni, sia il più recente impegno nella prima guerra di Castro, dove aveva ricoperto la carica di luogotenente del principe mediceo. Da un inventario dei Del Borro del 1657-1658 infatti risultano tre grandi quadri raffiguranti alcune battaglie della prima guerra di Castro, e altri tre con “altre imprese” che, se si vuole seguire il parallelismo con Mattias, potrebbero rappresentare battaglie della guerra dei Trent’Anni. Tali dipinti dovevano essere stati realizzati prima del 1654, anno della partenza del marchese da Firenze per la guerra nelle isole greche. Se questo potrebbe confermare una precoce conoscenza dei dipinti del Borgognone, licenziati intorno al 1652, le differenze tra i soggetti, e la notizia che già da prima del 1649 esistesse una certa animosità tra Mattias e il Del Borro riguardo ai rispettivi meriti militari della guerra di Castro, sconsigliano di avvicinare i due cicli. Anzi, addentrandoci ulteriormente nel campo delle ipotesi, si potrebbe immaginare che Mattias fosse ben lieto di commissionare un nuovo ciclo di opere per differenziarsi dall’ingombrante luogotenente e rivendicare il proprio primato: in questo senso allora le scene di convegno e di resa assumevano un ruolo chiave nella nuova narrazione del principe.

L’immediata risonanza delle opere di Borgognone sembra in effetti aver dato ragione a Mattias, visto l’interesse che suscitarono fin da subito tra collezionisti e artisti. Secondo le fonti, fu soprattutto Pandolfo Reschi a confrontarsi con questi dipinti, quasi a raccogliere il testimone della pittura di battaglia lasciato a Firenze da Salvator Rosa e dal Cortese. Il polacco naturalizzato fiorentino entrò alle dipendenze del marchese Pier Antonio Gerini, che lo chiamò intorno al 1670 a misurarsi come copista proprio coi dipinti del Borgognone della sua collezione. In seguito, intorno al 1680, il Reschi passò al servizio di Francesco Maria de’ Medici, di cui divenne anche aiutante di camera, con l’incarico di copiare le quattro battaglie già nella Sala del Trucco a Lappeggi. Le repliche dovevano essere di dimensioni più grandi degli originali, e con inserti di paesaggio più ampi: evidentemente fin da subito non erano destinate a prendere il posto degli originali, sostituiti dagli affreschi di Pier Dandini. Nel 1711 le copie delle battaglie furono acquisite dai Riccardi, e in seguito trovarono la via del mercato.

Le fonti non specificano se nella commissione di Francesco Maria de’ Medici fossero incluse le due opere del Borgognone rimaste a Lappeggi; la conferma però potrebbe venire dalla copia del nostro dipinto attribuita allo stesso Reschi, citata in precedenza. La versione del polacco infatti risulta di dimensioni maggiori, a conferma di quanto tramandato dalle fonti, mentre dal punto di vista stilistico, come sottolinea Barbolani, si nota “una maggiore ariosità […] e una tavolozza schiarita rispetto a quella del pittore francese”. Questa versione ci indica chiaramente che il ciclo era concepito anche dai successori di Mattias in maniera unitaria, nonostante la separazione dei dipinti, e che tutti e sei i numeri attiravano la medesima attenzione.

Quasi un secolo dopo l’esecuzione del ciclo, le opere erano ancora fonte di ispirazione. Lo dimostra un dipinto da poco riemerso sul mercato, una Scena militare con firma di un trattato che Giancarlo Sestieri attribuisce alla mano di Francesco Antonio Simonini.

L’artista, originario di Parma, ebbe come il Borgognone una vita tormentata e randagia, che lo condusse nel 1748 a Firenze prima alle dipendenze di Muzio Piccolomini, gentiluomo senese, e in seguito al servizio del marchese Andrea Gerini, grazie al quale fu ammesso, nel 1749, all’Accademia delle Arti del Disegno. Durante il suo soggiorno in città ebbe certamente la possibilità di accedere ai dipinti del Borgognone presenti nelle collezioni locali, tra cui, visti i rapporti col marchese Gerini, quelli del ramo collaterale dei Gerini Bonciani: le fonti tra l’altro riportano che avesse eseguito diverse copie di dipinti del Cortese. Nel nostro caso, possiamo osservare come la copia del Simonini si risolva in una libera reintepretazione dell’originale: il parmense riprende in maniera quasi letterale i tre gruppi di figure in primo piano, inserendoli però in un’ambientazione fantasmagorica di rocche assediate in un paesaggio fluviale decisamente aspro e brullo, lontano sia dalla verdeggiante ambientazione dell’originale che da quella più schiarita del Reschi.

Il recupero del dipinto di Borgognone ha quindi permesso di contestualizzare meglio le copie dei pittori successivi, consentendoci anche di valutare in che modo gli artisti si posero di fronte all’originale e quali elementi li attraessero di più, alla luce delle aspettative dei committenti e degli aggiornamenti del gusto.

luca giacomelli