82 x cm (32.28 x inches)

Campi obbligatori*

82 x cm (32.28 x inches)

Rif: 871

Provenienza
Monti Borromeo collection, Milano


Bibliografia
G. Frizzoni, Il Museo Borromeo in Milano, in “Archivio Storico dell’Arte”, III, 1890, pp. 351
B. Berenson, The Florentine Painters of the Renaissance, New York - London 1896, p. 124

F. Knapp, Piero di Cosimo, ein Ubergans-meister von Florentiner Quattrocento zum Cinquecento, Halle 1899, p. 96

B. Berenson, The Florentine Painters of the Renaissance, New York - London 1900, p. 131

B. Berenson, The Florentine Painters of the Renaissance, London - New York 1909, p. 165

A. Venturi, Storia dell’Arte Italiana, 1901-1940, vol. VII-1, 1911, p. 713

R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, The Hague 1923-1946, vol. XIII, 1931, p. 380

P. Morselli, Piero di Cosimo: saggio di un catalogo delle opere, in “L’Arte”, n.s. XXIII, 1958, p. 90

F. Zeri, Rivedendo Piero di Cosimo, in “Paragone”, n. 115, 1959, p. 44

M. Bacci, Piero di Cosimo, Milano 1966, p. 108 n. 57

F. Abbate, ‘Piero di Cosimo’ di Mina Bacci, in “Paragone”, n. 215, 1968, p. 77

M. Bacci, L’opera completa di Piero di Cosimo, Milan, 1976, p. 99 n. 67

E. Capretti, in A. Forlani Tempesti - E. Capretti, Piero di Cosimo. Catalogo completo, Florence 1996, p. 144 n. A7

D. Geronimus, Piero di Cosimo. Visions Beautiful and Strage, New Haven 2006, p. 285 n. 7

A. Di Lorenzo, M. Natale, La Pinacoteca Borromeo-Monti, in Capolavori da scoprire. La collezione Borromeo, exhibition catalogue, Milan 2006, p. 50

E. Capretti, in Dagli eredi di Giotto al primo Cinquecento, Florence 2007, pp. 148-157

G. A. Hirschauer, Piero di Cosimo: The Poetry of Painting in Renaissance Florence, exhibition catalogue, Washington 2015, pp. 156-159

D. Geronimus, in Piero di Cosimo (1462-1522). Pittore “fiorentino” eccentrico fra Rinascimento e Maniera, exhibition catalogue, Florence 2015, pp. 300-301

D. Geronimus, Piero di Cosimo Painter of Faith and Fable, Leiden - Boston, 2019, p. 108

Descrizione:

L’opera già in collezione Borromeo è stata finora nota alla critica solo attraverso una foto di fine Ottocento assai scadente, che la riproduceva alterata e trasformata in formato quadrangolare1. La lettura diretta del dipinto - che grazie a un’attenta pulitura è stato restituito all’originale formato circolare e liberato dalle ridipinture - consente di apprezzarne la qualità e nel contempo di evidenziare nella composizione caratteri peculiari propri di Piero di Cosimo, che si è più volte cimentato nel genere pittorico del “tondo” da camera, con soggetti destinati alla devozione domestica2.
Nella composizione al centro, seduta su una roccia, Maria tiene Gesù disteso nel suo grembo e lo avvolge con la fascia; il Bambino la guarda e le porge il cardellino, che prefigura la Passione. La Vergine siede incrociando le gambe e scoprendo sul terreno in primo piano un piede nudo evidenziato dalla luce, segno della sua sottomissione al volere di Dio3. A sinistra due angeli ponendosi uno di fronte all’altro osservano silenziosamente un libro (custode delle profezie), mentre a destra un terzo angelo musicista si volge verso l’osservatore come per coinvolgerlo nella rappresentazione. L’angelo di spalle, che si gira su se stesso verso il libro, si ispira al cosiddetto Letto di Policleto, rilievo antico di soggetto erotico oggi noto da copie di epoca rinascimentale, molto apprezzato sin dal Quattrocento4.
La scena si svolge in un paesaggio dai toni morbidi e soffusi: a sinistra, alle spalle della Vergine, sale un crinale con in cima rocce sovrammesse e arbusti; sulla destra invece si apre una veduta in lontananza che si perde in una nebbia azzurrina all’orizzonte. In primo piano sono quasi allineate una serie di piante fiorite.
L’intimo rapporto fra la Madre e il Figlio, fatto di sguardi, teneri gesti quotidiani, delicati contatti, la tenera e malinconica condivisione di “affetti” dei due angeli a sinistra, l’invito consapevole e allusivo dell’angelo musico all’osservatore, sono connotati fra i più affascinanti propri delle composizioni di Piero di Cosimo. Così come risulta un tratto peculiare la descrizione affettuosa - talvolta persino stupita, talaltra quasi commossa - delle “piccole cose”: si notano, per esempio, il nodo del manto sulla spalla della Vergine, il suo piede nudo a terra, la fascia del Bambino tenuta nelle mani della Madre, le rocce in alto come accatastate e sormontate da cespugli. Altrettanto rimandano a Piero i tratti larghi e un po’ “rustici” dei volti, il sottile gioco di luci e ombre sugli sguardi abbassati, le mani larghe dalle lunghe dita, le ali slanciate degli angeli, la descrizione minuta delle piante in primo piano e quella degli edifici dai tratti nordici in lontananza nel paesaggio, quali una casa di campagna con recinto e forse una chiesa con torri e pinnacoli.
In particolare il dipinto già Borromeo trova puntuali termini di confronto con alcune delle opere più famose di Piero, databili fra la fine del XV secolo e i primi del XVI. Il volto della Vergine richiama il medesimo personaggio nella pala dello Spedale degli Innocenti, nel tondo di Strasburgo (Musée des Beaux Arts) e nello studio di giovane donna al Metropolitan Museum, che William Giswold ha messo in stretta relazione con il dipinto francese datando entrambi negli ultimi anni del Quattrocento. Inoltre il busto di Maria con il manto legato sulla spalla risulta affine quello nel tondo della Gemäldegalerie di Dresda con la Sacra Famiglia, San Giovannino e due angeli. A quest’ultimo rimandano anche gli angeli dalle lunghe ali in pose alternate e le piante allineate in primo piano. Il motivo delle due teste angeliche ravvicinate nella condivisione del libro ritorna nel tondo di collezione privata con la Madonna con il Bambino, San Giovannino due angeli e una santa, peraltro opera probabilmente realizzata in due tempi sia pure ravvicinati 6. In particolare l’angelo a sinistra in posa frontale si apparenta con l’angelo lettore della Madonna Cini a Venezia. Il paesaggio richiama i pannelli con le Storie di Sileno di Worcester e Cambridge.
L’opera si trovava nella collezione Borromeo-Monti sin dal 1830, collocata al piano nobile del palazzo di famiglia a Milano in piazza Borromeo, poi andato distrutto. L’appartenenza alla prestigiosa raccolta milanese a quella data è attestata dall’etichetta tuttora presente sul retro del dipinto, recante lo stemma Borromeo, la scritta “Pinacoteca Borromeo-Monti” e l’anno 1830. Tale etichetta stampata dalla Litografia Bertotti fu apposta sui dipinti facenti parte del lascito di Giovan Battista Monti, segretario e amministratore di Giberto V Borromeo, nonché raffinato collezionista di arte antica, morto proprio in tale anno. Precedentemente dunque il dipinto faceva parte della raccolta riunita dal Monti nella sua casa in Contrada di Santa Maddalena al Cerchio e lasciata in eredità a Giberto VI Borromeo (1815-1885), nipote di Giberto V7.
Come risulta dalla scritta a penna sull’etichetta, al momento dell’ingresso nella Pinacoteca Borromeo nel 1830 il dipinto assunse il numero di inventario “300” e l’attribuzione a “Bernardino Luino”, che ribadiva quella già proposta da una scritta più antica sulla stessa tavola. Con tale attribuzione doveva aver comprato il quadro il Monti, appassionato collezionista dell’artista lombardo di cui possedeva ben 24 esemplari o presunti tali.
La scritta “Bernardino Luino” sull’etichetta Borromeo risulta poi cancellata a penna e corretta con il riferimento a “Giuliano Bugiardini?”.
Nel 1890, dopo che i Borromeo decisero di aprire al pubblico la propria collezione per due giorni alla settimana, Carlo Marcozzi, titolare della filiale milanese della ditta Montatone, fu incaricato di fotografare le opere più importanti, fra cui il dipinto allora attribuito a Bugiardini e – come documenta la stessa riproduzione – ridotto in formato quadrangolare. Si tratta dell’unica immagine con cui l’opera è stata conosciuta dalla critica per oltre un secolo. Le lastre di vetro originali realizzate in quella campagna fotografica sono tuttora conservate al Civico Archivio Fotografico del Comune di Milano.
L’opportunità di visitare la Pinacoteca Borromeo spinse Gustavo Frizzoni a dedicare alla Pinacoteca Monti (come ormai si chiamava) due articoli pubblicati su “Archivio di Storia dell’Arte”. Fu proprio il Frizzoni ad avvicinare per primo l’opera alla cerchia di Piero di Cosimo, invitando a rimetterla “in onore”8. Tale attribuzione veniva respinta da Knapp nella sua monografia sull’artista, ma condivisa da Berenson, Venturi, Van Marle9.
Da un altro cartellino apposto sul retro della tavola risulta poi che il quadro è stato di proprietà di Vittorio Emanuele e Mina Borromeo durante la seconda guerra mondiale. Nel 1945 la pinacoteca Monti venne trasferita nella residenza all’Isola Bella per salvarla dalle distruzioni dei bombardamenti10.
Nei contributi dagli anni Cinquanta in poi il dipinto risulta di ubicazione ignota. Sulla base dell’unica riproduzione disponibile, Federico Zeri ha ancora riferito il dipinto a Piero di Cosimo proponendo di datarlo nella fase tarda del pittore, oltre il 151011. Ma la Bacci - nei suoi fondamentali studi monografici sul pittore12 - si esprimeva con molta cautela non potendo osservare direttamente il quadro e avendo a disposizione solo “una vecchissima foto quasi illeggibile”: in generale per la studiosa è “impossibile dare un giudizio sulla qualità pittorica; si può solo affermare che il paesaggio è stato completamente rielaborato quando il tondo fu trasformato in rettangolo”.
In generale, la critica recente ha condiviso le caute osservazioni della Bacci preferendo inserire l’opera entro elenchi di opere di incerta attribuzione13.
Dopo tante incertezze, la presentazione al pubblico del dipinto ora di proprietà Moretti, ripristinato nel formato e nella superficie pittorica originali, offre – a maggior ragione - un importante contributo alla conoscenza di Piero di Cosimo e alla delineazione del suo corpus, a cui oggi può essere aggiunta a pieno titolo una voce in più.

 

1 Una riproduzione di tale immagine è nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze nell’inserto dedicato a Piero di Cosimo (foto n. 7236, neg. 3229).

2 R.J.M. Olson, The Florentine Tondo, New York 2000, pp. 203-206.

3 G. Heinz-Mohr, Lessico di iconografia cristiana, Milano 1984 (I ed. Düsseldorf-Köln 1971), pp. 284-285.
4 Il primo esemplare, tramandato dalle fonti, del cosiddetto “Letto di Policleto” - forse un rilievo romano da modello ellenistico raffigurante Amore e Psiche o Venere e Vulcano - era nella collezione di Lorenzo Ghiberti intorno al 1433, poi passato agli eredi e ricordato da Vasari (Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1568, ed. a cura di G. Milanesi, in Le opere di Giorgio Vasari, Firenze 1878-85, II, 1878, p. 245). Sopravvivono oggi due versioni del XVI secolo, una a Roma in Palazzo Mattei e l’altra in collezione privata (già a Londra, collezione J. Hewitt). L’invenzione antica ebbe una grande fortuna iconografica specie nel centro-nord Italia Fra le derivazioni più celebri dell’invenzione nell’arte fiorentina si ricordano: la figura di spalle seduta nel rilievo marmoreo di Donatello con il Festino di Erode ora a Lille, Musée des Beaux-Arts (lascito Wicar 1834 (1912); la nereide sulla sinistra del fregio di camino in Palazzo Gondi realizzato da Giuliano da Sangallo fra il 1501 e il 1503. Importanti derivazioni si riscontrano nel Cinquecento: Raffaello, la figura di Onfale nel Banchetto per le nozze di Psiche nella Villa della Farnesina a Roma (1518) e nello studio relativo di Haarlem, Teylers Museum, inv. A 62; Gian Giacomo Caraglio, Amore e Psiche su disegno di Perin del Vaga, 1527, Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, inv. FC 5952; Giulio Romano, Educazione di Giove, Londra, National Gallery; Tiziano, Venere e Adone, Madrid, Prado; nereide nel pavimento della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Si veda, inoltre: E.H. Gombrich, Norma e forma, Studi sull’arte del Rinascimento, Torno 1973 (I ed. London 1966), p. 184-185; P.P. Bober, R. Rubinstein, Renaissance Artists & Antique Sculpture, Oxford 1986, n. 94; L. Beschi, La scoperta dell’arte greca, in Memoria dell’antico nell’arte italiana. III: Dalla tradizione all’archeologia, Torino 1986, pp. 291-372, in part. p. 305.
5 The Metropolitan Museum of Art, inv. 1972.118.268; W. M. Griswold, in The Drawings of Filippino Lippi and His Circle, catalogo della mostra a cura di G. R. Goldner e C. C. Bambach, New York 1997, pp. 358-359 n. 119.

6 E. Capretti, in A. Forlani Tempesti – E. Capretti, Piero di Cosimo. Catalogo completo, Firenze 1996, p. 119 n. 29.

7 A. Di Lorenzo, M. Natale, La Pinacoteca Borromeo-Monti, in Capolavori da scoprire. La collezione Borromeo, catalogo della mostra a cura di M. Natale con la collaborazione di A. Di Lorenzo, Milano 2006, pp. 44-45.
8 G. Frizzoni, Il Museo Borromeo in Milano, in “Archivio Storico dell’Arte”, III, 1890, p. 351

9 F. Knapp, Piero di Cosimo, ein Ubergans-meister von Florentiner Quattrocento zum Cinquecento, Halle 1899, p. 96; B. Berenson, The Florentine Painters of the Renaissance, New York – London 1896, p. 124; ed. 1900, p. 131; ed. 1909, p. 165; A. Venturi, Storia dell’Arte Italiana, 1901-1940, vol. VII-1, 1911, p. 713; R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, The Hague 1923-1946, vol. XIII, 1931, p. 380.

10 Per notizie sulla storia della collezione, cfr.: Capolavori da scoprire. La collezione Borromeo, cit. 2006.

11 F. Zeri, Rivedendo Piero di Cosimo, in “Paragone”, n. 115, 1959, pp. 36-50, p. 44

12 M. Bacci, Piero di Cosimo, Milano 1966, p. 108 n. 57; M. Bacci, L’opera completa di Piero di Cosimo, Milano, 1976, p. 99 n. 67.
13 E. Capretti, cit. 1996, p. 144 n. A7; D. Geronimus, Piero di Cosimo. Visions Beautiful and Strage, New Haven 2006, p. 285 n. 7.