Bernardo Canal

(Venezia 1664 - 1744 Venezia)

Roma, Piazza San Pietro con i Palazzi Apostolici e il Colonnato, c. 1730

olio su tela, 90 x 147 cm (35.43 x 57.87 inches)

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Bernardo Canal

(Venezia 1664 - 1744 Venezia)

Roma, Piazza San Pietro con i Palazzi Apostolici e il Colonnato, c. 1730

olio su tela, 90 x 147 cm (35.43 x 57.87 inches)

Rif: 865

Provenienza: Collezione privata

Descrizione:

La basilica di San Pietro a Roma e la piazza antistante, con il Colonnato progettato da Bernini e realizzato entro il 1665, è indagata da un punto di vista soprelevato e spostato verso sinistra, sulla collina che all’epoca costituiva il confine meridionale del Rione di Borgo. Nella piazza ovale, sull’asse maggiore, sono collocate le due fontane (la fontana ‘antica’ di Maderno e quella gemella ad opera dello stesso Bernini), nonché l’obelisco di Eliopoli, portato a Roma da Caligola e disposto di fronte alla basilica alla fine del XVI secolo. Fuori e dentro il Colonnato gentiluomini e popolani, radunati in piccoli gruppi, sono testimoni della tranquillità e della pacatezza esemplare della cittadinanza romana. 

La scelta del punto di vista rialzato alla sinistra del borgo – che sottolinea l’estensione dei Palazzi Apostolici a nord, verso l’odierno Rione Prati, all’epoca zona campestre – trova un importante precedente in un’incisione del 1673 di Giovanni Battista Falda[i]. Questa invenzione, una delle prime testimonianze del nuovo assetto dato da Bernini alla piazza[ii], venne replicata su tela più volte, soprattutto in ambiente veneziano e specificatamente dai maestri che alla metà del Settecento realizzavano vedute di Roma e Venezia per i principi delle corti europee. Fra questi si segnala Jacopo Fabris, autore di una Veduta di Piazza San Pietro, realizzata appunto sul modello dell’incisione di Falda e destinata al re Cristiano VII di Danimarca[iii]. Rispetto alla tela di Fabris e all’incisione di Falda tuttavia nel dipinto qui esposto il punto di vista appare ravvicinato e la prospettiva viene di conseguenza dilatata sull’asse orizzontale. Inoltre la facciata della basilica manca delle colonne del portico (sostituite da semplici paraste) e del timpano, risultando dunque molto semplificata rispetto alla sua forma reale. Appare evidente come al modello dell’incisione si sia andata a sovrapporre la memoria di uno studio dal vero, verosimilmente compendiario e che quindi comportava inevitabili approssimazioni anche nella stesura finale della composizione: si tratta dunque con ogni evidenza dell’opera di un autore che era stato a Roma, ma che realizza la tela ad anni di distanza dal soggiorno rielaborando disegni eseguiti sul posto. 

La qualità luminosa del colore e la resa vibrante delle figure umane, volutamente rimpicciolite – per sottolineare la mole del Colonnato – ma non per questo prive di spirito, accostano questa tela ad una serie di vedute romane raggruppate felicemente nel catalogo del pittore veneziano Bernardo Canal (1664-1744)[iv], padre dell’assai più famoso Giovanni Antonio detto il Canaletto. Dall’atto di battesimo di quest’ultimo, rogato il 17 ottobre del 1697, sappiamo della professione di pittore del padre, il cui nome tuttavia non compare nei registri della Fraglia fino al 1717[v]. Fu verosimilmente la grande fama acquisita da Antonio a condurre Bernardo, ormai settantacinquenne, nel 1739 alla carica di Priore nel Collegio dei pittori, al quale era stato ammesso solo due anni prima. E appare evidente che l’attività di vedutista, per cui oggi viene ricordato e che va circoscritta agli ultimi vent’anni di vita, fu intrapresa su impulso del successo delle composizioni di Canaletto: Bernardo difatti si presenta come autore di sicuro talento, ma tuttavia non particolarmente dotato nell’invenzione, dal momento che progettava di solito le sue vedute prendendo a modello gli studi del figlio o di maestri della generazione precedente – e dunque suoi coetanei – come Luca Carlevarijs e Johann Richter. 

Se il gruppo di vedute di Venezia – già conservate a Casa Salom e assegnate a Bernardo da Giuseppe Fiocco[vi] e poi da Rodolfo Pallucchini[vii], nei due contributi che hanno portato alla riscoperta della sua personalità d’artista – risultano dipendenti da modelli di Richter, le vedute di Roma tradiscono invece il forte ascendente dei disegni di Canaletto: si tratta in questo caso di una contingenza piuttosto naturale, dal momento che Bernardo e Antonio, com’è noto, avevano lavorato insieme a Roma, negli anni 1719-20, agli allestimenti scenici per le opere Tito Sempronio Gracco e Turno Aricino di Alessandro Scarlatti. Non stupisce che i disegni del giovane Antonio – rimasti verosimilmente nella disponibilità del padre, che a quelle date doveva essere ancora considerato il capobottega – siano stati in seguito rielaborati da Bernardo. È questo il caso della coppia di grandi tele dello Szépművészeti Múzeum di Budapest (Il tempio di Antonino e Faustina e Santa Maria d’Aracoeli e il Campidoglio), già assegnate da Klàra Garas[viii] e ancora in tempi più recenti da Charles Beddington[ix] allo stesso Canaletto, ma ormai riferite quasi unanimemente a Bernardo e che rappresentano il confronto più pertinente per la tela esposta. I dipinti di Budapest sono realizzati sullo spunto di due studi dal vero eseguiti a Roma da Antonio (Darmstadt, Hessisches Landesmuseum, inv. 2186; Londra, British Museum, inv. 1858-6-26-225), come pure la veduta con L’arco di Settimio Severo, resa nota da Dario Succi[x] e attribuita a Bernardo, segue da vicino un famoso disegno romano del figlio[xi] (Londra, British Museum, inv. 1858-6-26-223). La vicinanza di queste opere con lo stile delle tele già Salom (due delle quali datate ‘1735’) porta a collocare anche questo gruppo nel quarto decennio del Settecento, a quindici anni di distanza dunque dagli studi di Canaletto. Non ci è dato sapere se anche il dipinto esposto presupponga l’esistenza di un precedente canalettiano (ad Antonio fino ad oggi è stato attribuito un solo foglio[xii] con la facciata di San Pietro, presentata però frontalmente, da un punto di vista collocato nella piazza sul lato destro): di sicuro la tela condivide impianto compositivo e soluzioni scenografiche con i dipinti di Budapest, nei quali il punto di vista viene collocato più indietro e più in diagonale di quanto non avvenga nei disegni – con lo scopo di aumentare l’effetto di quinta di scena. Le nubi zigzaganti, il cielo grigio-azzurrino, le figurette allungate degli astanti in primo piano e quelle, come detto, rimpicciolite al centro della piazza, sono peculiarità dello stile di Bernardo che tradiscono chiaramente la formazione da scenografo. Le approssimazioni nella definizione delle architetture sono compensate da un carattere schietto e libero, lontano da qualsiasi affettazione. Bernardo, erede della tradizione del teatro barocco, è dunque testimone di una poetica differente rispetto alla chiarezza espositiva dei vedutisti del nuovo secolo. I rapidi passaggi d’ombra, memori delle soluzioni cromatiche di Luca Carlevarijs, donano a questa veduta un carattere lirico, assolutamente inconsueto nell’epoca segnata dal nitore filosofico dell’Illuminismo. 



[i] C. Padredio, G. B. Falda, Descritione fatta della Chiesa Antica e Moderna di S. Pietro, Roma 1673.

[ii] H. Hager, “Modi proposti dall’Autore per la terminazione della Piazza, e Bracci, col novo Campanile, et Orologio”, in C. Fontana, Il Tempio Vaticano 1694, ed. a cura di G. Curcio, Milano 2003, pp. CCXXII-CCXXXI.

[iii] A. Morassi, Anticipazione per il vedutista Jacopo Fabris, in “Arte Veneta”, XX, 1966, p. 280; M. Mosco, Minori del Settecento veneto: Jacopo Fabris, in “Arte illustrata”, VII, 1974, p. 92.

[iv] D. Succi, Bernardo Canal scenografo e vedutista, in Da Canaletto a Zuccarelli: il paesaggio veneto del Settecento, a cura di A. Delneri e dello stesso, catalogo della mostra (Passariano), Udine 2003, pp. 169-173.

[v] D. Dotti, Bernardo Canal, in Canaletto. Venezia e i suoi splendori, a cura di G. Pavanello e A. Craievich, catalogo della mostra (Treviso), Venezia 2008, pp. 180-181.

[vi] G. Fiocco, in Pittura veneta. Prima mostra d’arte antica delle raccolte private veneziane, a cura di A. Riccoboni, catalogo della mostra, Venezia 1947, p. 39, nn. 71-72. 

[vii] R. Pallucchini, Appunti per il vedutismo veneziano del Settecento, in “Muzeum i twórca”, 1969, pp. 144-148.

[viii] K. Garas, Venezianische Malerei des 18. Jahrhunderts, Budapest 1968, nn. 27-28.

[ix] C. Beddington, in Canaletto. Prima maniera, a cura di A. Bettagno e B. A. Kowalczyk, catalogo della mostra (Venezia), Milano 2001, pp. 54-57, nn. 28-29.

[x] Succi cit., 2003, p. 173. 

[xi] A. Corboz, Canaletto: una Venezia immaginaria, Milano 1985, I, p. 71, II, tav. D.1/3.

[xii] W. G. Constable, J. G. Links, Canaletto. Giovanni Antonio Canal 1697 – 1768, Oxford 1989, II, p. 567, n. 726