Veronika van Eyck

(Monaco di Baviera 1936 - 2001 Monaco di Baviera)

Testa, 2-6

Bronzo, 35 x 19 cm (13.78 x 7.48 inches)

Campi obbligatori*

Veronika van Eyck

(Monaco di Baviera 1936 - 2001 Monaco di Baviera)

Testa, 2-6

Bronzo, 35 x 19 cm (13.78 x 7.48 inches)

Rif: 861

Percorso della scultura. Veronika van Eyck, Milan, December 1988 . January 1989

Veronika van Eyck, Salamon, no. 6, Milan, September 2006

Descrizione:

Nata a Monaco di Baviera nel 1936, Veronika studiò inizialmente nella sua città natale e, in un secondo momento, alla Kunstewrbeschule di Zurigo. Trasferitasi a Milano nel 1955, frequentò l’accademia di Belle Arti di Brera entrando in stretto contatto con Marino Marini e Giacomo Manzù.

La sua prima personale risale al 1959, anno in cui espose le sue opere alla Bianchini Gallery di New York.

Da questa data si alternarono una lunghissima serie di esposizioni personali e partecipazioni a collettive, sia in Italia sia in diversi paesi di cultura tedesca.

Nel 1970 fu invitata alla Biennale Internazionale di Carrara, evento di fondamentale importanza per la scultrice che proprio in quella occasione scoprì le svariate potenzialità del marmo e della pietra: da allora l’artista passò regolarmente qualche mese all’anno nella cittadina toscana.

Questa è la mia prima mostra a Milano dopo sei anni. Il mio silenzio ha varie cause. In primo luogo ho imparato a lavorare la pietra, e mi è costato anni capire come si scolpisce il marmo. Non era solo un problema tecnico. Fin da ragazzo ho lavorato, partendo da un fil di ferro, sul quale attaccavo la creta, la rete metallica o il gesso: cioè partendo da zero creavo un volume. Un giorno mi sono trovata con dei blocchi di marmo, e ho dovuto imparare a “inventare” il mio lavoro non più partendo da un filo, sviluppando dall’interno verso l’esterno, ma viceversa. Ho spezzato tonnellate di marmo, riducendole in polvere, senza risultato.

Un’altra ragione, per la quale non ho fatto più mostre personali in Italia, (pur partecipando a delle collettive) è, che ho fatto delle esposizioni in Germania, in Svizzera e nel Liechtenstein. Ho trovato in questi paesi un pubblico molto attento. Gente che torna due, tre volte e magari resta un’ora, due per vedere i lavori. Persone, e non poche che dicono: “venga in casa mia per scegliere il posto dove mettere la sua opera”. Ho trovato un vero interesse per la scultura, e questo mi ha aiutata a credere di nuovo che fare l’artista ha ancora un senso.

Perché strada facendo mi era venuto il dubbio che l’arte oggi fosse fuori tempo.

Si lavora per anni da soli, un giorno si decide di fare una mostra, spolverando le sculture, si fanno fare delle basi, si organizza una gru e un camion eccetera. All’inaugurazione vengono due, trecento persone ti dicono: “brava” e dopo un paio di settimane si riporta le opere di nuovo in studio.

Volevo fare una professione più inserita nel mondo d’oggi, e così ho cominciato a fare la giornalista. Volevo parlare con la gente della gente, volevo parlare di problemi attuali.

Ho lavorato per la televisione tedesca, ho fatto la cronista per tre stazioni radio, ho scritto, e scrivo tuttora per dei giornali. Non scrivo mai d’arte, scrivo dei problemi sociali, delle donne, dei bambini, del sistema ospedaliero, della condizione di vita dell’uomo.

Un giorno ho convinto la televisione di Francoforte a farmi fare un film su Carrara, le cave, le segherie; un film sugli operai e le malattie professionali. Una mattina alle cinque ho visto il sole spuntare dietro le Alpi Apuane, e non mi importava più niente del film. Sono andata nelle cave e ho comprato un camion intero di marmo. Sono andata a Volterra per cercare l’alabastro, e ho trovato la pietra selena che lavoravano gli etruschi.

Mi sono rimessa a scolpire, e ho capito che non posso lasciare la scultura perché l’amo, e che continuerò a fare il giornalismo perché mi aiuta a restare ancorata alla realtà della vita quotidiana. 

Milano, marzo 1976

                                                                                                                               Veronika van Eyck