Katsushika Hokusai
(Edo 1760 - 1849 Edo)
Il Fuji Rosso, Gaifu kaisei, (Fresh Wind from the South on a Clear Morning), c. 1830-1832
silografia a colori, 25,5 x 37,6 cm (10.04 x 14.80 inches)
Katsushika Hokusai
(Edo 1760 - 1849 Edo)
Il Fuji Rosso, Gaifu kaisei, (Fresh Wind from the South on a Clear Morning), c. 1830-1832
silografia a colori, 25,5 x 37,6 cm (10.04 x 14.80 inches)
Rif: 827
Provenienza: Collezione privata
Nishiki-e Silografia a colori, firmata in lastra: Hokusai aratame Iitsu hitsu
Serie: Fugaku sanju rokkei (Le trentasei vedute del Monte Fuji - prima serie)
1830-1832
Formato: oban yoko-e (mm. 255x376)
Editore: Eijudo (mancante)
Censore: kiwame (mancante)
Bibliografia
Forrer 88.107.1
Lane 288.141.2
Forrer& Goncourt, 264.8
Hokusai Museum II.24
Calza V.35.2
Esposto
Hokusai (Edo 1760 - 1849). I capolavori, a cura di S. Salamon, catalogo della mostra,
Torino 2005, n. 2
Provenienza
Collezione privata
Superba e rarissima prova con colori brillanti nella prima edizione su due con il legno chiave inchiostrato in “Blu di Prussia” caratteristico della prima edizione della prima serie. Impressa su carta del Giappone databile nella prima metà del xix secolo. In perfetto stato di conservazione, ad eccezione di un restauro eccezionalmente ben eseguito nel cielo in alto a destra. Completa della parte incisa e con sottilissimo margine visibile a tratti sul margine inferiore, caratteristica estremamente rara nelle stampe di Hokusai.
Su un cielo azzurro, segnato però dalle fila delle nuvole ‘a sardina’ (‘iwahigumo’) che diventeranno caratteristiche dell’arte giapponese, si staglia maestoso il profilo del Monte Fuji. La luce – proveniente da sud-est –, indica che ci troviamo nelle prime ore del giorno, mentre i minuscoli alberi alla base del pendio sembrano battuti dalla brezza che ne comprime le fronde e dona loro sottili forme triangolari.
‘Gaifû kaisei’ – letteralmente ‘Dolce brezza, mattino limpido’ – da quasi due secoli è l’icona più celebre dell’arte e della cultura nipponica. Si tratta, al pari de La grande onda di Kanagawa, dell’opera più famosa di Katsushika Hokusai, manifesto del suo stile maturo e in generale del suo periodo Iitsu – dal nome che egli prese all’età di sessant’anni per indicare la conclusione di un ciclo della vita e l’apertura di un secondo (Iitsu vuol dire semplicemente “un altro”). Ma se La grande onda maturò la sua fama soprattutto in occidente, in ragione dell’attinenza poetica col sentimento della natura romantico e postromantico in Europa e negli Stati Uniti, il Fuji rosso divenne da subito immagine simbolo della nazione giapponese, a causa principalmente del valore mistico che assume in patria la mole del vulcano dalle vette perennemente innevate.
Il Fuji, la cui ultima eruzione si data al 1708, è stato da sempre oggetto di timore, deferenza e venerazione da parte della fede shintoista. La manifestazione celeste della sua cima, Konohanasakuya-hime, nella mitologia e nelle raccolte poetiche del periodo Heian (VIII – XII secolo), assume la forma di una bellissima principessa, figlia del dio della montagna e sposa del cielo, patrona dei pescatori e delle donne incinte, a sua volta divinità della pesca, dell’agricoltura e della tessitura. La cima del Fuji quindi per gli shintoisti protegge e regna sul Giappone e sulle sue fiorenti attività commerciali e industriali. Allo stesso tempo, a partire dal XII secolo, anche i monaci buddhisti cominciarono a popolare i versanti della montagna di santuari e l’ascesa alla vetta divenne consuetudine di pellegrinaggi di purificazione e palingenesi. La contemplazione del profilo del vulcano dunque è momento religioso che unifica diverse tradizioni e culture e rappresenta lo spirito della continuità nella storia giapponese. La salita al Fuji è altresì il simbolo perpetuo del rapporto tra uomo e natura, la stella polare (in giapponese ‘Hokushinsai’, la cui forma abbreviata è appunto ‘Hokusai’) di un continuo percorso di rinascita che segue il ritmo del giorno – e quindi della luce – e delle stagioni[i].
Katsushika Hokusai era nato a Edo (nome tradizionale della città di Tokyo, mantenuto fino al 1867) nella seconda metà del XVIII secolo[ii]. Formato dall’età di quattordici anni presso un intagliatore di matrici tipografiche, entrò poi nello studio del grande pittore Katsukawa Shunsho (1726 - 1793), testimone dello stile Ukiyo-e (letteralmente “immagine del mondo fluttuante”) e divulgatore di stampe dedicate principalmente agli attori del teatro Kabuki. Alla morte del maestro, Hokusai – che all’epoca si firmava ‘Sori’ e aveva da poco superato i trent’anni – divenne a sua volta caposcuola, avvicinando il suo stile nei ritratti a quello di Kitagawa Utamaro e svincolandosi dalle ambientazioni rigide e semplificate delle opere di Shunsho. Il successo crescente delle sue composizioni, ammirate anche dai dignitari della corte imperiale, non lo allontanò dalla pratica dell’illustrazione popolare, quegli “yomi-hon” (“libri da lettura”) amati da una larga fascia della popolazione e comprati a buon mercato in tutto il paese. A partire dal 1820 - l’anno della rinascita, a conclusione del ciclo astrologico nel quale si erano consumati i primi sessant’anni della sua esistenza - gli animali e il paesaggio diventano tema privilegiato delle stampe; egli stesso pare consapevole dell’importanza di questo passaggio quando, nella postfazione alle Cento vedute del Monte Fuji, nel 1835 scrive il suo più celebre testamento poetico: “Sin dall'età di sei anni ho amato copiare la forma delle cose, e dai cinquant'anni pubblico spesso disegni, ma fino a quel che ho raffigurato a settant'anni non c'è nulla degno di considerazione. A settantatré ho un po’ intuito l'essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso. Quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria. Se posso esprimere un desiderio, prego quelli tra lor signori che godranno di lunga vita, di controllare se quanto sostengo si rivelerà infondato. Dichiarato da Manji, il vecchio pazzo per la pittura”[iii]. Il momento fondamentale per l’acquisizione dei mezzi pittorici per Hokusai è dunque il confronto con i soggetti e gli elementi naturali: animali, piante, alberi, onde del mare alte come cime montuose e infine la luce sul declivio del Monte Fuji. E non è casuale che tale realizzazione di consapevolezza giunga subito dopo l’edizione de Le trentasei vedute del monte Fuji, la serie senza dubbio più fortunata e celebrata della sua carriera.
Il volume consiste di 46 xilografie policrome, pubblicate tra il 1830 e il 1833 dalla Nishimuraya Yohachi, la casa editrice che da quasi un secolo diffondeva le illustrazioni dei gradi autori Ukiyo-e. Alle prime trentasei stampe, dato il successo dell’edizione, ne seguirono ulteriori dieci, nelle quali la centralità degli elementi naturali viene meno e riacquista valore la componente umana. Nelle 36 vedute dell’edizione originale emerge invece chiara la ragione poetica dell’opera: una sorta di ammirata descrizione della vita quotidiana del popolo nipponico, scandita dal ritmo dei colori e della luce e protetta dalla rassicurante vetta innevata. Nella prima xilografia della serie, il triangolo del Fuji si colloca al centro, eterno argine alle tempeste della vita, nel momento del frangersi de La grande onda sulle imbarcazioni destinate a soccombere. E non stupisce che la seconda xilografia sia proprio quella qui in esame, immagine invece di un’eterna e confortante primavera, descritta al mattino con squarci di cielo azzurro e un leggero vento, a replicare al gelido inverno e alla tempesta della Grande onda. Particolare significato hanno qui le nuvole, la cui forma è mutuata verosimilmente dall’impressione che Hokusai maturò attraverso lo studio delle acqueforti olandesi del Seicento, e che trasmise a sua volta agli artisti giapponesi delle generazioni successive; una forma che ha suggerito a Timothy Clark[iv] il paragone con un banco di pesci a popolare l’azzurro del mare.
Se centrale è dunque nella formazione di Hokusai il contatto con la tradizione dell’arte olandese, ancor più pregnante è l’apporto che il geniale incisore nipponico lasciò in eredità all’arte europea del XIX e del XX secolo. È noto il giudizio del grande storico d’arte giapponese Richard Douglas Lane, espresso nondimeno proprio in riferimento a quest’opera: “Si potrebbe tranquillamente affermare che nel Fuji rosso si possono rintracciare i semi dell’impressionismo, del postimpressionismo e dell’astrattismo – in effetti molto di ciò che è “moderno” nell’arte moderna”[v]. Ma se i legami tra Hokusai e l’arte di Monet, Gauguin, Van Gogh e Kandinsky astratto sono stati più volte sottolineati dalla critica, più raro è stato l’accostamento con la poetica dei Fauves o dei movimenti del Die Brücke o del Blaue Reiter. E invece proprio i forti contrasti tra i colori primari del Fuji rosso aprono non solo allo studio della luce degli impressionisti, ma anche alla natura animata dei primi paesaggi espressionisti. Le diverse vie dell’arte europea in sintesi trovano in questa geniale composizione la loro comune e luminosa sorgente.
L’esemplare studiato in questo breve saggio è stato pubblicato nella prima edizione della serie (1830-33) e si qualifica per un eccezionale stato di conservazione. Le dimensioni identiche e la presenza del sottile margine – visibile qui sul bordo inferiore – accostano il foglio a quello più noto oggi nelle raccolte del British Museum (inv. 1906, 1220, 0.525) e più volte esposto nelle rassegne internazionali dedicate al maestro[vi].
[i] Sul significato del Monte Fuji nella tradizione e nell’arte giapponese attraverso i secoli si rimanda a C. Uhlenbeck, M. Molenaar, Mount Fuji. Sacred Mountain of Japan, New York 2000.
[ii] Per il percorso artistico di Hokusai si veda: Hokusai. Il vecchio pazzo per la pittura, a cura di G. C. Calza, catalogo della mostra, Milano 1999.