Giovanni Bellini
(Venezia c.1433 - 1516 Venezia)
Madonna col Bambino, circa 1490
tempere e olio su tavola di pioppo, 61 x 44 cm (24.02 x 17.32 inches)
Giovanni Bellini
(Venezia c.1433 - 1516 Venezia)
Madonna col Bambino, circa 1490
tempere e olio su tavola di pioppo, 61 x 44 cm (24.02 x 17.32 inches)
Rif: 786
Provenienza: Collezione privata
C. L. Ragghianti, Miscellanea minore di critica d’arte, Bari 1946, pp. 122-128, fig. 23
F. Heinemann, Giovanni Bellini e i Belliniani, III, Supplemento e ampliamenti, Hildesheim 1991, p. 6 n. 45a
P. Humfrey, in Giovanni Bellini, a cura di M Lucco e G. C. F. Villa, catalogo della mostra (Roma), Cinisello Balsamo 2008, pp. 266-267, n. 41
Davanti ad una cortina verde che separa il proscenio da un paesaggio collinare d’impronta veneta, la Vergine, in piedi, sorregge dolcemente il Bambino che da parte sua poggia, in modo malfermo, su un piano di marmo rosso. Questa straordinaria tavola, firmata in basso a destra da Giovanni Bellini (“IOANNES BELLNUS P.”) è argomento consueto per la critica da oltre settant’anni. A renderla nota è stato nel 1946 Carlo Ludovico Ragghianti in un contributo della sua Miscellanea di scritti redatti negli anni della guerra[i]. Ragghianti prendeva spunto proprio dalla tavola per avviare un discorso d’ampio respiro sull’attività di Bellini legata alle esigenze devozionali private, nonché sulla facilità, all’interno della grande bottega del maestro veneziano, a replicare, anche solo in parte, le composizioni usate da Bellini nell’esecuzione delle tavole maggiori. Già Ragghianti dunque poneva l’obiettivo sul problema critico fondamentale nello studio di quest’opera: ovvero l’individuazione dell’autografia del maestro – Bellini che comunque secondo l’avviso dello storico, seppure lasciò alla bottega parte della realizzazione, certamente promosse e approvò l’opera come sua – e il rapporto del dipinto con un prototipo che veniva individuato nella Presentazione di Gesù al tempio del Kunthistorisches Museum di Vienna (inv. 117). Nel corpus di Heinemann (1962), fra le derivazioni del prototipo della tavola viennese (che a sua volta veniva qui considerata copia di bottega da un originale perduto) non compare questo dipinto[ii], ma nel Supplemento del 1991 l’autore tedesco perfeziona la questione, sostenendo l’autografia e datando l’opera attorno al 1490 – e lamentando infine un restauro artefatto sulla testa del Bambino[iii]. L’autografia è stata ribadita, in tempi più recenti, anche da Mauro Lucco e Peter Humfrey che hanno voluto presentare la tavola nell’ultima grande rassegna dedicata a Giovanni Bellini a Roma presso le Scuderie del Quirinale[iv].
L’analisi dell’opera quindi deve necessariamente partire dallo studio del modello: la Presentazione di Gesù al tempio già delle collezioni di Bartolomeo della Nave a Venezia e poi in quelle di James Ist, duca di Hamilton[v]. Il dipinto oggi a Vienna è individuato dagli studi come quello di qualità più alta fra le oltre trenta versioni del soggetto – condotte secondo un unico modello formale – eseguite nella bottega di Bellini, e quindi l’unico a poter essere ragionevolmente assegnato al maestro[vi]. Sta di fatto che alcune delle suddette versioni recano la firma di Giovanni, mentre altre sono siglate da allievi diretti come Francesco Bissolo e Vincenzo delle Destre. Vi sono poi alcune tavole con riprese parziali del soggetto come – oltre appunto all’opera qui illustrata – quella già conservata al Museo Civico di Belluno e trafugata nel 1973, attribuita correttamente da Berenson ad Antonio Solario detto lo Zingaro[vii], o ancora quella già di Collezione Emo Capodilista e oggi ai Musei Civici agli Eremitani di Padova[viii], per la quale Heinemann fa il nome di Marco Basaiti[ix]. Il numero elevato di queste derivazioni è esemplificativo del funzionamento della bottega di Bellini: al maestro spettava l’invenzione, impressa solitamente in una tavola di prestigio, come poteva essere quella di Vienna. Al successo del prototipo seguiva l’esecuzione di numerose tavole di dimensioni più modeste, talvolta siglate e licenziate dal maestro stesso o in altri casi firmate dagli allievi, laddove verosimilmente apparteneva a questi anche il disegno sottostante. Gli allievi stessi tuttavia, in una bottega che riceveva molteplici richieste e che a partire dai primi anni ’80 del Quattrocento, era diventata l’atelier più acclamato della Serenissima, spesso si trovavano ad avere un ruolo preponderante pure nelle redazioni firmate dal maestro, al punto che lo strumento oggi più usato per convalidare l’autografia, o quantomeno la partecipazione nella fase iniziale, di Bellini in questo tipo di composizioni reiterate è l’indagine riflettografica[x].
L’analisi ad infrarossi nel dipinto esposto ha confermato innanzitutto l’originalità della firma; inoltre ha svelato il disegno preparatorio sotto la superficie pittorica, evidente soprattutto nel segno rosso collocato sopra il ginocchio sinistro del Bambino. Vi sono inoltre pentimenti molto visibili come quelli sulla mano destra della Vergine le cui dita nella riflettografia appaiono tutte duplicate. Il disegno, per essere chiari, non ha l’indole di una semplice copia da un originale di Bellini, bensì piuttosto di un’interpretazione che, dato il carattere dell’opera e considerato che questa venne realizzata all’interno della bottega, non poteva essere stata condotta da altri se non dal maestro stesso. Del resto la critica ha posto l’accento in più di un’occasione sulla disinvoltura di aver collocato in uno spazio aperto un’invenzione formale che nel prototipo era invece disposta in uno spazio chiuso. Questa scelta aveva comportato una maggiore morbidezza dei toni, rifuggendo dai forti contrasti della tavola di Vienna, e persino una mitigazione della qualità grafica dei panneggi. L’impressione è che se la Presentazione del Kunsthistorisches Museum è un capolavoro informato ancora dall’estetica lineare e astrattizzante del Quattrocento, qui ci troviamo ormai in una fase che già prelude alla svolta naturalista, e poi giorgionesca, da parte di Bellini. Quello che muta, rispetto al prototipo e alla maggior parte delle redazioni, è il timbro emotivo della sacra rappresentazione, e questa evoluzione non può che attribuirsi al mutamento della poetica delle opere del maestro all’inizio dell’ultimo decennio del secolo.
A suggerire la presenza di un collaboratore è più che altro la natura dei volti, distante da quella delle Madonne eseguite da Bellini nella stessa fase (si pensi a confronto alla Madonna dei cherubini rossi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia) e allo stesso tempo più caratterizzata in senso espressivo di quanto non accadesse nella Presentazione di Vienna: in questo caso il pensiero corre ad un seguace di Bellini ed in particolare ad un maestro piuttosto riconoscibile nel contesto della sua bottega attorno al 1490: si tratta di Antonio Solario detto lo Zingaro (1465 ca. – 1530) chiamato già in causa per la Madonna del Museo Civico di Belluno[xi]. Se questa è un confronto ovviamente pertinente, data l’identità del modello, ancor più significativo è notare nello Zingaro la frequente ripetizione di moduli formali nella definizione dei volti: il profilo della Vergine, col taglio degli occhi piuttosto allungato, torna in modo molto coerente nella Vergine della Collezione Rau di Stoccarda[xii], come pure nella più tarda Madonna adorante il Bambino dello Statens Museum for Kunst di Copenaghen[xiii] e nella famosa Madonna Leuchtemberg, oggi alla National Gallery di Londra[xiv]. Il percorso di Solario, iniziato a Venezia ma proseguito in Lombardia e nelle Marche, lo portò presto a svincolarsi dal modello di Bellini per avvicinarsi a Leonardo e ai pittori d’area padana. Tuttavia nei primi anni di attività è appunto Giovanni Bellini l’unico riferimento: nulla di più verosimile dunque che sia stato lui il pittore incaricato di portare a termine una composizione che risultava, come attesta la tavola di Belluno, perfettamente congeniale alle sue capacità.
[i] C. L. Ragghianti, Una Madonna di Giovanni Bellini, in Id., Miscellanea minore di critica d’arte, Bari 1946, pp. 122-128.
[ii] F. Heinemann, Giovanni Bellini e i Belliniani, Venezia 1962, I, pp. 41-42 n. 144.
[iii] F. Heinemann, Giovanni Bellini e i Belliniani, III, Supplemento e ampliamenti, Hildesheim 1991, p. 6 n. 45°.
[iv] P. Humfrey, in Giovanni Bellini, a cura di M Lucco e G. C. F. Villa, catalogo della mostra (Roma), Cinisello Balsamo 2008, pp. 266-267, n. 41.
[v] G. C. F. Villa, Giovanni Bellini, Cinisello Balsamo 2008, p. 154.
[vi] A. Tempestini, Giovanni Bellini, Milano 1997, p. 217, 219, n. 78.
[vii] R. Pallucchini, I capolavori dei musei veneti, catalogo della mosta, Venezia 1946, p. 72, n. 132.
[viii] D. Banzato, La Quadreria Emo Capodilista, Roma 1988, p. 52.
[ix] F. Heinemann, Giovanni Bellini e i Belliniani, Venezia 1962, I, p. 290, n. MB. 6.
[x] C. M. Mancuso, A. Gallone, Giovanni Bellini and His Workshop. A Technical Study of Materials and Working Methods, in Giovanni Bellini and the Art of Devotion, a cura di R. Kasl, Indianapolis 2004, pp. 129-152.
[xi] Su Antonio Solario si veda: L. Pagnotta, Per Antonio Solario: un riesame critico e alcune proposte attributive, in “Bollettino d'Arte”, XCVI, 2011, pp. 59-108.
[xii] V. Damian, in La collezione Rau. Da Beato Angelico a Renoir e Morandi. Sei secoli di grande pittura europea, catalogo della mostra (Bergamo), Milano 2002, p. 32, n. 5.
[xiii] H. Olsen, Antonio Solario: Kristusbarnet tilbedes af somfru Maria, der knaeler mellem to musicerende engle, in “Kunstmuseets Arsskrift. Staten Museum fur Kunst”, 43-50, 1956-1963, pp. 50-51, 141.
[xiv] E. Modigliani, Antonio Solario, veneto, detto lo Zingaro, in “Bollettino d’arte”, 1907, VII, pp. 1-21 (pp. 1-3).