Lorenzo di Bicci

(Attivo a Firenze, 1360 - 1410)

Madonna col Bambino, c. 1375

tempera su tavola, fondo oro, 83 x 49,8 cm (32.68 x 19.61 inches)

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Lorenzo di Bicci

(Attivo a Firenze, 1360 - 1410)

Madonna col Bambino, c. 1375

tempera su tavola, fondo oro, 83 x 49,8 cm (32.68 x 19.61 inches)

Rif: 744

Provenienza: Principe Fabrizio Massimo, Roma, Christie's, Roma, 18 giugno 2002, L. 696 (venduto a E. 148,250), New York, Alvaro e Ana (Alana) Saieh Collection

Note:

Opera non piu' disponibile

Bibliografia:

R. van Marle, The Development of Italian Schools of Paintings, The Hague, 1927, VIII, p. 50, ill. 34
B. Klesse, Seidenstoffe in der italianischen Malerei des 14. Jahrhunderts, Bern, 1967, p. 363
M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Florence, 1975, p. 336
R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting. A Legacy of Attributions, New York, 1981, p. 42, ill. 85
M. Boskovits, The Alana Collection. Italian paintings from the 13th to 15th century, Florence, 2009, p 87-90, n. 16
Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Fondazione Federico Zeri: busta 0061 (Pittura italiana sec. XIV. Firenze. Maestro di Santa Verdiana, Pietro di Miniato, Lorenzo di Bicci, Fascicolo 5, Lorenzo di Bicci 2, n. 4720

Non si hanno notizie certe di Lorenzo di Bicci, che sembra aver iniziato la sua attività nell’ambito dell’Orcagna nella seconda metà del 1300, ponendosi in seguito alla guida di una delle botteghe più attive a Firenze negli ultimi decenni del XIV secolo e l’inizio del XV. A capo di una famiglia che avrebbe dato vita a tre generazioni di pittori (era il padre di Bicci di Lorenzo e il nonno di Neri di Bicci), Lorenzo trasmise loro un intero corpus di abilità tecniche e un repertorio formale appreso grazie alla sua lunga attività nella bottega dell’Orcagna, di stampo prettamente tradizionale. Dopo la morte di quest’ultimo, si presumono contatti con Jacopo di Cione, la cui influenza si riscontra nella prima opera documentata del pittore, la tavola con San Martino in trono e nella predella, la Liberalità di San Martino (Firenze, Galleria dell’Accademia), eseguita per il pilastro dell’Arte dei Vinattieri nella chiesa di Orsanmichele, poco dopo il 1380. L’Opera di Santa Maria del Fiore aveva commissionato alcuni disegni per le statue marmoree di quattro Apostoli a Lorenzo, Agnolo Gaddi e Spinello Aretino, destinati alla facciata della Cattedrale (1387), in seguito scolpiti da Piero di Giovanni Tedesco. Nel 1398, Lorenzo dipinse quattro tavole polilobate con i quattro Evangelisti per il tabernacolo della Madonna delle Grazie, anch’esso nella Cattedrale (le tavole raffiguranti Giovanni, Marco e Matteo sono conservate al Museo dell’Opera del Duomo). 

Il pittore fu attivo anche a Empoli, dove ricevette, nel 1399, una commissione per un trittico dalla Compagnia della Croce per la chiesa di Santo Stefano, del quale rimane solo il Crocifisso. Nello stesso periodo dipinse la tavola con la Vergine in Assunzione che consegna la sua cintola a San Tommaso per la stessa chiesa. Le figure alquanto rigide non mostrano più il delicato modellato chiaroscuro delle prime opere di Lorenzo, bensì riflettono l’orientamento neogiottesco, tipico di alcuni pittori fiorentini di quel periodo. Allo stesso tempo, un trittico di datazione più tarda, oggi conservato al Museo della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli, insieme agli altri due quadri,  manifesta un’attenta ricerca dell’eleganza, più affine ai modelli del tardo Gotico. Lorenzo anima le sue composizioni con figure più agili e aggraziate, come si nota nel Trittico diviso tra una collezione privata (già Collezione Drey, Londra) e il Museo Nazionale di San Matteo a Pisa. Dopo aver presumibilmente lavorato a lungo sotto l’ala del padre Lorenzo, Bicci assume la direzione della bottega nella prima decade del XV secolo. Nei primi anni del nuovo secolo, padre e figlio si ritrovano a lavorare insieme su alcune commissioni importanti di un alto livello qualitativo, come il tabernacolo affrescato conosciuto come il Madonnone (ora nella chiesa di San Michele a San Salvi, Firenze). Nel 1427, Lorenzo è registrato come defunto. 

Questa tavola minuta, racchiusa in una cornice moderna con decorazioni in stucco dorato, mostra la Vergine Maria seduta su un cuscino in terra, il capo rivolto dolcemente verso il Figlio, cullato tra le braccia della madre. Piegando leggermente la testa, in relazione al resto del corpo, visto da dietro, il Bambin Gesù incontra lo sguardo della madre e afferra una piega del suo mantello con la mano sinistra.[1]La tunica del Bambino, cinta in vita e con uno scollo ampio che lascia le spalle parzialmente scoperte, è arricchita da decorazioni minuziose. La Vergine indossa un tipico vestito rosso sotto un mantello blu che avvolge la figura nella sua interezza. A terra, una tessuto rosso è decorato con la tecnica dello sgraffito, con foglie stilizzate, fiori e uccelli dalle ali spiegate, simili a quelli realizzati sul panneggio che copre il trono di San Martino, nella tavola dipinta da Lorenzo per l’Arte dei Vinattieri nella chiesa di Orsanmichele poco dopo il 1380[2].  Le aureole di entrambe le figure presentano una decorazione punzonata con tondi semplici, all’interno di fasce granellate[3].

La tavola fu pubblicata per la prima volta da Raimond van Marle (1927), come opera della “Scuola di Gentile da Fabriano” e apparteneva alla collezione del Principe Fabrizio Massimo a Roma[4]. Si deve a Brigitte Klesse (1967) l’attribuzione del dipinto, se non direttamente a Lorenzo, almeno alla sua cerchia, datata nei primi anni del XV secolo; Miklós Boskovits (1975) la considerò opera autografa del pittore, e la datò tra il 1375 e il 1380. In un’appendice al Corpus of Florentine Painting, che include le attribuzioni di Richard Offner (1981), questa Vergine dell’Umiltà è menzionata tra le opere di Lorenzo. Si nota peraltro un’attribuzione improbabile alla cerchia di Jacobello del Fiore in un catalogo di Christie’s per un’asta a Roma del 18 giugno 2002. 

Un gruppo di piccoli dipinti destinati alla devozione privata che rappresentano la Vergine dell’Umiltà potrebbe appartenere agli esordi della carriera del pittore. Si notano, ad esempio, somiglianze con il nostro dipinto nella Vergine dell’Umiltà di Nashville (Tennessee, George Peabody College), in altre versioni della composizione a Chicago (The Art Institute), già a Milano con Finarte e in precedenza a Firenze nella collezione Luigi Grassi (circa 1962). Un’ulteriore tavola con lo stesso soggetto, già nella collezione di Jean-Alexis Francois Artaud de Montor a Parigi, conosciuta dalla stampa nel catalogo, fu attribuita a Lorenzo di Bicci da Klara Steinweg[5].  Le stoffe ricamate che ricoprono i cuscini e il pavimento conferiscono elementi di ricchezza decorativa oppure, come nel caso della Vergine già nella collezione Grassi, occupano l’intero sfondo. La precisione del disegno e l’accuratezza del modellato che caratterizzano la serie sono rappresentative delle notevoli abilità tecniche dell’artista. Si potrebbe aggiungere che questa Vergine dell’Umiltà è l’unica nel gruppo che mostra il tema dello scambio di sguardi tra la Madre e il Figlio, con toni di intimità emotiva, meno evidenti nelle altre tavole del gruppo. La torsione vivace nella posa del Bambino non è inusuale nella tradizione delle botteghe fiorentine, e Lorenzo potrebbe essere stato ispirato dai prototipi di Bernardo Daddi  (Cambridge, Massachusetts, Fogg Art Museum, no. 1923.35), oppure da esempi più recenti di Puccio di Simone, come il Trittico con la Vergine dell’Umiltà della Trinity Cathedral a Cleveland, Ohio (ora al Cleveland Museum of Art)[6].

L’accentuato modellato chiaroscuro dei volti dei due personaggi, con i lineamenti finemente ritratti, potrebbe fornire indicazioni sulla datazione del nostro dipinto appena prima del 1380: questo aspetto è meno marcato nelle altre parti del gruppo di dipinti devozionali sopracitati, possibilmente anteriori (ad esempio a Nashville e già a Milano). La forte enfasi sugli effetti di rilievo unisce il nostro dipinto con la Vergine già nella Collezione Grassi e con quella di Chicago, in conformità con la maniera che il pittore avrebbe adottato, su scala più ampia, per il San Martino di Orsanmichele. La predilezione per un modellato denso e notevole affianca l’arte di Lorenzo con quella del Maestro della pala d’altare di San Niccolò a Firenze, probabilmente eseguito non più tardi del 1380[7]. Le affinità stilistiche tra questi pittori, messe in evidenza per prime da Federico Zeri, sono state in seguito enfatizzate da Erling S. Skaug[8], per quanto riguarda l’uso, da parte di entrambi i pittori, di segni di punzonatura. 

Se confrontati con la produzione di grandi pale d’altare – alcune delle quali eseguite da Lorenzo fino alla fine della sua carriera per committenti a Firenze e dintorni, adottando formule fortemente affini alla tradizione pittorica degli anni attorno e poco dopo la metà del XIV secolo – i suoi dipinti devozionali sono caratterizzati abitualmente da un’espressività più brillante. Lorenzo coglie e sviluppa modelli scelti preferibilmente dal repertorio figurativo della bottega dell’Orcagna, ponendo particolare attenzione alla produzione artistica del giovane Jacopo di Cione, come si evince dalla sua attenzione per dettagli decorativi elaborati. 



[1] Questa gestualità sottolinea l’intimità tra la Madre e il Figlio. Si veda Shorr 1954, pp. 56-57

[2] Per una descrizione dei modelli decorativi del tessuto sul quale si siede la Vergine in questo dipinto, si veda Klesse 1967, p. 363 (si veda anche la nota 8 sotto riportata).

[3] Per i segni di punzonatura utilizzati dall’artista, in particolar modo verso la fine della sua carriera, si veda Skaug 1994, I, pp. 267-268; II, tabella di punzonatura 8.4

[4] La provenienza del dipinto dalla collezione del Principe Massimo, dove rimase fino al 1932, è inoltre confermata da Klara Steinweg nella scheda del catalogo, scritta a macchina, riferita ai dipinti attribuiti a Lorenzo di Bicci nell’archivio del Corpus of Florentine Painting. 

[5] Per la tavola di Nashville, si veda Shapley 1966, p. 47, fig. 119. Per le opera a Chicago e già con Finarte a Milano, si veda Boskovits 1975, fig. 129 e fig. 131. Per i due dipinti in passato nelle Collezioni Grassi e Artaud de Montor, si veda Steinweg 1960, p. 41; Offner 1981, fig. 73 e fig. 83.

[6] Per queste opera, si veda Offner 1947, II ed. 2001, pp. 228-230, 521-557.

[7] Per una riconsiderazione della storia critica di questo trittico, ora nella sacrestia della chiesa di San Niccolò, si veda Damiani 1982, pp. 46-48.

[8] Si veda la nota 3. Si veda inoltre Zeri 1963, p. 246. Le somiglianze tra i temi decorativi adottati da entrambi i pittori per il tessuto furono messe in evidenza da Brigitte Klesse (nota 2), che fa riferimento in particolare ai dipinti del Maestro della Pala d’Altare di San Niccolò a Linari (Chiesa di Santo Stefano; Boskovits 1975, fig. 147) e Pescia (chiesa dei SS. Sisto e Niccolò)