Lippo di Andrea

(Firenze c. 1370 - post 1447 Firenze)

Madonna col Bambino in Trono, tra i Santi Lorenzo, Sebastiano, Margherita e Nicola di Bari

tempera su tavola, fondo oro, 64 x 39 cm (25.20 x 15.35 inches)

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Lippo di Andrea

(Firenze c. 1370 - post 1447 Firenze)

Madonna col Bambino in Trono, tra i Santi Lorenzo, Sebastiano, Margherita e Nicola di Bari

tempera su tavola, fondo oro, 64 x 39 cm (25.20 x 15.35 inches)

Rif: 821

Provenienza: USA, collezione privata

Questa gradevole anconetta per la devozione privata appartiene alla tipologia morfologica e compositiva che ebbe una vastissima fortuna anche a Firenze per circa un secolo, soprattutto dalla metà del Trecento in avanti. Il giovane santo in alto a destra con i capelli biondi e una rada barbetta reca nella mano tre frecce, ed è identificabile quindi con Sebastiano, nell’iconografia in veste di cavaliere, attestata anche da uno scomparto laterale di un trittico di Puccio di Simone (1). L’altro giovane santo in alto a sinistra è certamente identificabile con Lorenzo, poiché s’intravede appena una porzione della graticola da lui recata, che quasi si confonde con la piccola croce nella mano sinistra della santa in primo piano. Quest’ultima, che oltre alla croce reca un libro nella mano destra, potrebbe essere Margherita o Cecilia. 

Il santo vescovo in basso a destra è san Nicola, con il libro e le sfere d’oro nella sinistra da lui donate alle tre fanciulle povere di Pàtara (in antico Arsinoe), sua città natale, per consentire loro di maritarsi (2).

Emersa da una collezione privata, l’opera appariva sensibilmente ripassata soprattutto nelle vesti dei sacri personaggi. La pellicola pittorica si presentava inscurita e offuscata da vernici a base di gommalacca e da materiali estranei. Nella parte inferiore della tavola si notava il suppedaneo semicircolare del trono, frutto anch’esso di una grossolana ridipintura, che tra l’altro appariva già parzialmente caduta. Il supporto ligneo presentava una fenditura verticale che ne attraversava tutta la superficie e aveva causato alcune cadute di colore di modesta entità. Nella centina era stata aggiunta una fascia di circa quattro centimetri, dove al di sopra della testa della Madonna era stata dipinta una colomba dello Spirito Santo. L’intervento di restauro condotto da Loredana Gallo, ha sortito risultati molto soddisfacenti nel restituire al dipinto la freschezza e la luminosità cromatica tipiche dell’epoca tardogotica. Le ripassature sono state tutte rimosse e il supporto ligneo è stato consolidato. Si è ritenuto opportunamente di mantenere l’aggiunta nella centina, che peraltro è chiaramente individuabile, mentre è stata rimossa la grossolana aggiunta pittorica dello Spirito Santo. 

La pulitura ha rivelato una stesura pittorica in eccellente stato di conservazione, con modeste cadute di colore e la perdita per fortuna solo di una minima parte delle raffinate decorazioni dorate sulle vesti dei sacri personaggi. Il disegno fine e sicuro che caratterizza il dipinto si distingue anche con una semplice ispezione visiva, ma emerge con assoluta chiarezza dalla riflettografia IR, che offre alcuni dettagli di sorprendente freschezza grafica, quali la testa della Madonna, e quella del san Nicola . 

La tavola risulta inedita allo scrivente, mentre il suo riferimento a Lippo d’Andrea s’impone ad una prima occhiata in maniera inequivocabile.

Altaroli destinati alla devozione privata simili a questo sono abbastanza frequenti nella folta produzione del nostro artista, come risulta evidente dal confronto con quest’altro esemplare [fig. 1] comparso nel 1970 sul mercato artistico a Londra e riemerso nel 2012 in quello fiorentino, assai vicino a quello qui illustrato, finanche nelle decorazioni punzonate delle aureole dei santi, sebbene di qualità decisamente inferiore.  

Fu Serena Padovani ad avanzare per prima il suggerimento di identificare con Lippo d’Andrea il «Lippo fiorentino» al quale le fonti attribuivano la pala d’altare della Cappella Nerli, o della Passione, la prima del transetto destro nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, raffigurante la Deposizione di Croce. L’opera è andata perduta, ma la Crocifissione ad affresco (Tartuferi 1992, p. 149 e fig.6) appartenente alla decorazione della cappella ha consentito di riferire al nostro artista buona parte delle opere un tempo riunite dapprima intorno al nome di Ambrogio di Baldese e, in seguito, assegnate dal Van Marle al cosiddetto Pseudo-Ambrogio di Baldese. Nato intorno al 1370, Lippo si iscrisse all’Arte dei Medici e Speziali verso il 1395 e nel 1411 era tra i membri della Compagnia di San Luca, mentre risultava residente nel quartiere di Santa Maria Novella. Nel 1411 il pittore era attivo nella squadra che lavorava alla perduta decorazione del Palazzo del Ceppo a Prato, mentre intorno al 1416 risulta impegnato in lavori a San Miniato (Pisa), dove affrescò tra l’altro la cappella maggiore della chiesa di San Domenico. Nel 1436 ricevette l’incarico di dipingere, insieme ad altri artisti fiorentini, le figure degli apostoli lungo le navate della cattedrale di Santa Maria del Fiore in occasione della sua consacrazione. Nel 1451 l’artista risulta già morto (3). Formatosi nell’ampia cerchia artistica che aveva Agnolo Gaddi come riferimento principale, Lippo sembra aver attraversato sul finire del Trecento una fase di convinta adesione al fenomeno del neogiottismo. Tuttavia, intorno alla metà del primo decennio del Quattrocento e fino al 1425-30, egli s’impegna a tradurre e divulgare in una versione più distesa e accostante i modi sublimi e raffinati di Lorenzo Monaco. Dal 1430 circa e fino al termine del suo percorso intorno alla metà degli anni Quaranta l’artista sembra risentire in parte dell’influenza dei maggiori artisti che come lui si erano formati in piena temperie tardogotica e che cercavano di adeguarsi al clima rinascimentale - da Giovanni Toscani a Masolino da Panicale e Giovanni dal Ponte -, senza riuscire però a conseguire i loro esiti qualitativi. 

Il dipinto qui discusso si rivela un esemplare particolarmente riuscito e di fine qualità esecutiva della fase più ispirata all’arte di Lorenzo Monaco. Tutto rinvia ai modi del grande pittore camaldolese, dalla figura aggraziata della Vergine al velo trasparente che le ricopre il capo, con gli orli punteggiati di tocchi bianchi: un particolare quest’ultimo, introdotto soprattutto dal grande frate pittore e a lui particolarmente caro. Non meno debitrice dell’arte di Lorenzo Monaco appare poi la gamma cromatica, fatta di colori brillanti e delicatamente sfumati, al pari dei panneggi fluenti della Vergine e dei due santi in primo piano, impreziositi dalle decorazioni dorate degli orli.  L’esito particolarmente felice dell’interpretazione dei modi del pittore e miniatore camaldolese - che qui appare sostenuto da un intento meno pedissequo rispetto a quanto si riscontra nell’esemplare di confronto [fig. 4] - induce a proporre per l’opera una datazione appena più inoltrata che dovrebbe cadere intorno alla fine del primo quarto del Quattrocento, o al più tardi subito dopo.

                                                                 

 

 

(1) G. Kaftal, Iconography of the Saints in Tuscan Painting, Florence 1952 (rist. 1998), cols. 917-925; R. Offner-M.Boskovits, Bernardo Daddi and His Circle, “Corpus of Florentine Painting”, Sec. III, Vol. V (1947),new edition, Florence 2001, p. 362 nota 1, pl. XXXIII.

(2) Per l’iconografia dei santi qui raffigurati si veda in Kaftal 1952, cols. 613-624, 661-665 e 756-768; per l’iconografia di santa Margherita, con particolare riferimento al Due e Trecento, si veda A. Tartuferi, La decorazione miniata del codice Riccardiano453 e la Leggenda di Santa Margherita di Antiochia nella pittura italiana fra Due e Trecento: alcune osservazioni, in G. Lazzi, Le Leggende di santa Margherita e sant’Agnese. Commento al manoscritto Riccardiano 453, Catelvetro di Modena 2009, pp. 11-28; per la figura di san Nicola si rimanda al volume di M. Bacci (a cura di), San Nicola. Splendori d’arte d’Oriente e d’Occidente, Ginevra-Milano 2006.

(3) Su Lippo d’Andrea e le opere a lui riferite, si vedano R. Van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, vol. IX, The Hague 1927, pp. 86-92; S. Padovani, in Tesori d’arte antica a San Miniato, a cura di P. Torriti, Genova 1979, pp. 55-56; U. Procacci, Lettera a Roberto Salvini con vecchi ricordi e alcune notizie su Lippo d’Andrea modesto pittore del primo Quattrocento, in Scritti di storia dell’arte in onore di Roberto Salvini, a cura di C. De Benedictis, Firenze 1984, pp.213-226;A. Tartuferi, Le testimonianze superstiti (e le perdite) della decorazione primitiva (secoli XIII-XV), in La chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, a cura di L. Berti, Firenze 1992, pp. 145-146, figg. 6-28; W. Jacobsen, Die Maler von Florenz zu Beginn der Renaissance, München-Berlin 2001, pp. 550-551; L. Pisani, Pittura tardogotica a Firenze negli anni trenta del Quattrocento: il caso dello Pseudo-Ambrogio di Baldese, “Mitteilingen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XLV, ½, 2002, pp. 2-36; S. Chiodo, Lippo d’Andrea: problemi di iconografia e stile, “Arte Cristiana”, XC, N. 808, 2002, pp. 1-16; S. Chiodo, Gli affreschi della chiesa di San Domenico a San Miniato: un capitolo poco noto della pittura fiorentina fra Tre e Quattrocento (Parte II), “Arte Cristiana”, XCVI, N. 845, 2008, pp. 81-94; D. Parenti, in Il Tardogotico, Cataloghi della Galleria dell’Accademia di Firenze – Dipinti,  vol. III, a cura di C. Hollberg, A.Tartuferi, D. Parenti, Firenze 2020, pp.89-98.