Francesco Guardi

(Venezia 1712 - 1793 Venezia)

Paesaggio di Fantasia con Lago, Pieve e Figure di Pescatori e Viandanti - Paesaggio di Fantasia con Torre Rustica, Pieve e Figure di Popolani, c. 1780

olio su tela, 15,5 x 21,9 cm (6.10 x 8.62 inches)

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Francesco Guardi

(Venezia 1712 - 1793 Venezia)

Paesaggio di Fantasia con Lago, Pieve e Figure di Pescatori e Viandanti - Paesaggio di Fantasia con Torre Rustica, Pieve e Figure di Popolani, c. 1780

olio su tela, 15,5 x 21,9 cm (6.10 x 8.62 inches)

Rif: 791

Provenienza: Parigi, Collezione Dreyfus Asta Sotheby’s, Londra, 8 dicembre 1971, lotto 61 Londra, Collezione Lord Charles Forte (Christie’s, Londra, 12 luglio 2012, lotto 53, £ 97,250

Descrizione:

Bibliografia:
Galerie Charpentier, Paris, Paysages d’Italie, catalogo della mostra, Parigi 1947, nn. 84-85
A. Morassi, Guardi. I dipinti, Venezia 1973, I, pp. 475-476, nn. 892, 898 

Nel primo di questi due paesaggi di fantasia troviamo una veduta lacustre, chiusa all’orizzonte da massicci montuosi che ricordano il gruppo del Focobon sulle Dolomiti orientali; a sinistra troviamo una pieve dotata di campanile e di una piccola cupola circolare, con l’abside addossato ad una casa rustica sulla riva del lago. Nella chiesa stanno entrando tre donne, mentre due gentiluomini, vestiti di mantello, paiono discorrere riposando dalla fatica di un’escursione fuori città; più a destra tre pescatori sono impegnati con le loro canne su una balza a picco sull’acqua. Nel secondo paesaggio i rilievi montuosi a chiudere la scena sembrano essere gli stessi, ma descritti da un altro versante: in primo piano a destra troviamo una torre rustica, addossata ad una struttura più bassa (probabilmente un mulino); sulla balaustra che cinge lo specchio d’acqua un uomo e una donna sono fermi a conversare; più a sinistra vi sono due viandanti, una donna che strattona un bimbo per un braccio e un’ultima figura appena abbozzata; poco più indietro troviamo infine una pieve, dotata anche questa di uno slanciato campanile.

Questa coppia di dipinti, luminosa testimonianza delle qualità di Guardi come pittore di paesaggi montuosi, ha alle spalle un’importate storia collezionistica, almeno per quel che riguarda gli ultimi cinquant’anni: già passate presso la galleria Charpentier di Parigi, le tele hanno difatti transitato per la Leonard Koetser Gallery di Londra per poi entrare a far parte della raccolta di Lord Charles Forte (1908 – 2007), dove sono rimaste fino alla morte dell’imprenditore – fondatore del famoso gruppo alberghiero che ne porta il nome.

L’attività di paesista di Francesco Guardi è stata approfondita solo in tempi piuttosto recenti. Se difatti le vedute veneziane, non troppo apprezzate dai suoi contemporanei, sono state poi pienamente rivalutate nel Novecento grazie soprattutto all’interesse dei collezionisti, i paesaggi campestri sono stati toccati da un’attenzione specifica da parte della critica solamente negli ultimi vent’anni[i]. Inoltre spesso ci si è imbattuti nell’errore metodologico di accomunare i capricci alle cosiddette ‘vedute fantastiche’, deprezzando inevitabilmente queste ultime. Il recente contributo di Mitchell Merling ha fatto chiarezza sulla questione e la mostra veneziana del Museo Correr – organizzata per il terzo centenario della nascita del pittore e nella quale una sezione era dedicata proprio a Guardi paesista – ha potuto dimostrare ampiamente la modernità, nell’impostazione e nell’elaborazione formale, di questo genere di dipinti[ii]. In sostanza i ‘capricci’ di Guardi erano attestazioni del gusto tardosettecentesco per le rovine degli edifici della classicità – che naturalmente risultavano protagonisti delle inquadrature scelte dal pittore; ovvero si trattava di lucide testimonianze dello zeitgeist protoromantico nell’Europa che interpretava il mondo classico con lo spirito malinconico di Goethe e Schiller. Le ‘vedute fantastiche’, come quelle esposte, erano invece segni d’amore da parte di Guardi per una tradizione che, da Guercino fino ai Ruysdael e ai pittori di Delft, aveva messo al centro della pittura di paesaggio la partecipazione emotiva da parte dello spettatore. Come è noto Guardi non usava la camera ottica e rinunciava consapevolmente all’esattezza della visione, a vantaggio nondimeno di una riflessione retrospettiva sulla pittura e l’arte sei-settecentesca. Gli edifici descritti nelle nostre tele sembrano desunti non dal vero, ma piuttosto dai paesaggi italiani di Jan Both ed Adam Pynacker, filtrati però dall’osservazione delle incisioni di Canaletto e tradotti in un’ambientazione meglio riconoscibile per il pubblico veneziano. L’esito è un ‘paesaggio da studio’, in cui l’esperienza della natura viene meditata attraverso un’impostazione non sistematica e filologica, ma lirica.

Non stupisce che il termine di paragone più pertinente per composizioni di questo tipo è stato ravvisato nei dipinti giovanili di John Constable, erede ideale di Guardi nel rendere, attraverso la vibrazione della luce, l’impressione vivida di movimento, cui ovviamente partecipano le figure al pari degli elementi naturali.

La datazione dei nostri paesaggi all’attività tarda di Guardi, proposta da Antonio Morassi[iii], risulta ancor oggi la più attendibile. Nell’ultimo decennio di vita difatti il pittore raggiunge il vertice della sua libertà pittorica e della disinvoltura nell’uso dei modelli. Le due tele possono dunque essere facilmente riferite a questa fortunata stagione, crepuscolo di una formidabile carriera d’artista. 

 



[i] D. Succi, Francesco Guardi: itinerario dell’avventura artistica, Cinisello Balsamo 1993, pp. 147-166; B. Aikema, Francesco Guardi, il “picturesque” e il mito di Venezia, in I Guardi: vedute, capricci, feste, disegni e quadri turcheschi, a cura di A. Bettagno, Venezia 2002, pp. 17-29.

[ii] M. Merling, Paesaggi e capricci, in Francesco Guardi: 1712 – 1793, a cura di A. Craievich e F. Pedrocco, catalogo della mostra (Venezia), Milano 2012, pp. 138-181.

[iii] A. Morassi, Guardi. I dipinti, Venezia 1973, I, pp. 475-476, nn. 892, 898.