Niccolo' di Pietro Gerini

(Documentato a Firenze tra il 1368 e il 1414)

Crocifissione, c. 1395 - 1400

tempera su tavola, fondo oro, 37,5 x 39 cm (14.76 x 15.35 inches)

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Niccolo' di Pietro Gerini

(Documentato a Firenze tra il 1368 e il 1414)

Crocifissione, c. 1395 - 1400

tempera su tavola, fondo oro, 37,5 x 39 cm (14.76 x 15.35 inches)

Rif: 728

Provenienza: Florence, Alfonso Tacoli Canacci Collection Kreuzlingen, Heinz Kisters Collection Frankfurt, Kotzenberg Collection

Bibliografia:

A. Tacoli Canacci, Etruria Pittrice o sia Storia delli Principi, Risorsa ed Avanzamenti della Pittura dimostrata con una Serie di Opere Originali di tutti li più rinomati Pittori Toscani, Firenze 1789, Madrid, Biblioteca Real, Ms. II/574, n. 12; A. Tacoli Canacci, Catalogo ragionato dei pittori della Scuola Toscana le cui Tavole Originali sono state raccolte ordinatamente in serie Cronologica & presentate davanti al Trono Della Sacra Cattolica Real Maestà di Carlo IV, Re delle Spagne, [1791], Parma, Biblioteca della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, Ms. 105, n. 28; A. Tacoli Canacci, Catalogo Ragionato dei Pittori della Scuola Toscana, le cui tavole originali sono state raccolte ordinatamente in serie cronologica, Firenze 1792, Parma, Archivio di Stato, Ms. 101, n. 27; B. Berenson, Quadri senza casa – Il Trecento fiorentino, IV, in “Dedalo”, 1932, I, pp. 18, 20; B. Berenson, Homeless Paintings of the Renaissance, edited by H. Kiel, London 1969, pp. 134-135, fig. 229; M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Florence 1975, p. 410; H. B. J. Maginnis, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, V, 1, A legacy of attributions, Florence 1981, p. 82; V. M. Buonocore, Il marchese Alfonso Tacoli Canacci: onesto gentiluomo smaniante per la pittura, Reggio Emilia 2005, p. 137; L. Sbaraglio, Alfonso Tacoli Canacci (Mirandola, 1726 – Firenze, 1801), in La fortuna dei primitivi. Tesori d’arte dalle Collezioni Italiane fra Sette e Ottocento, edited by A. Tartuferi and G. Tormen, exhibition catalogue (Florence, Galleria dell’Accademia, 24/6 – 8/12/2014), Florence 2014, pp. 214-215, fig. 6.

Bologna, Alma Mater Studiorum, Fondazione Federico Zeri, Fototeca: folder 0056 (Pittura italiana sec. XIV. Firenze. Maestro della Misericordia Orcagnesca, Nicolò di Pietro Gerini), dossier 3 (Nicolò di Pietro Gerini e bottega: tavole piccole 1), n. 3415.

Cristo è raffigurato nel momento del trapasso, con gli occhi chiusi e il sangue che sgorga dalle ferite. Alla sua destra la Vergine apre le braccia in segno di disperazione, mentre san Giovanni incrocia le mani sul petto; ai piedi di Cristo Maria Maddalena, prostrata a terra, stringe la croce raccogliendo con la mano aperta i rivoli di sangue che scendono fino al cucuzzolo roccioso allusivo al Golgota.

Questo prezioso dipinto, che originariamente, date le esigue dimensioni, doveva essere la cimasa di una singola tavola devozionale, è gratificato da una storia collezionistica di notevole rilievo: un cartiglio sul retro ne attesta difatti la provenienza dalla collezione del marchese Alfonso Tacoli Canacci (Mirandola, 1726 – Firenze, 1801), che aveva riunito, come soleva sostenere Zeri, “la più importante raccolta di primitivi formatasi in Italia nel corso del Settecento, la sola alla cui nascita abbia partecipato l’interesse di un capo di stato”[i]. Alla disposizione da collezionista Tacoli Canacci amava unire qualità imprenditoriali nella compravendita di fondi oro, spesso proposti con successo all’amico Ferdinando I di Borbone, duca di Parma e Piacenza dal 1765 al 1802. In questo senso Zeri parlava di una collezione nata sulla spinta dell’interesse di un regnante illuminato, capace di riconoscere nei dipinti tre-quattrocenteschi notevoli documenti per l’origine di una cultura figurativa che avrebbe condotto, secoli più avanti, al culmine della grande Maniera. Fortuna del marchese Tacoli fu quella di vivere nell’epoca in cui molti principi decretarono la soppressione degli enti religiosi e la messa in vendita dei loro patrimoni: nel 1782 Pietro Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana, autorizzò la soppressione di ben undici ordini e l’incameramento da parte dello stato dei fondi provenienti dalla vendita dei beni già di proprietà di questi, a partire ovviamente da quelli artistici. Il marchese investì molto nell’impresa, ricavandone una formidabile raccolta, incentrata soprattutto, com’è naturale, sui primitivi toscani – spiccavano fra gli altri dipinti l’antico dossale di Meliore, oggi agli Uffizi, col Redentore, la Vergine e i santi Pietro, Giovanni Evangelista e Paolo, e il trittico con la Vergine col Bambino in trono fra sei santi, opera di Agnolo Gaddi, oggi conservato nella Galleria Nazionale di Parma[ii].

Come detto, il suo patrocinatore più generoso fu il duca Ferdinando, ma non mancò Tacoli di presentare la sua raccolta ad altri facoltosi collezionisti, a partire dal cugino del duca, il re di Spagna Carlo IV. Proprio in occasione di una visita di quest’ultimo nel 1789, il marchese stilò un catalogo dei 375 dipinti della sua collezione, in procinto di una possibile – ma alla fine non realizzata – vendita al sovrano: al n. 12 troviamo una Crocifissione con dolenti, ****, indicazione questa relativa al nostro dipinto e confermata del resto dal cartiglio applicato sul verso (anche se il n. 28 riportato dalla didascalia fa riferimento alla seconda stesura dell’inventario manoscritto, realizzata nel 1791)[iii].

Nella letteratura moderna il dipinto ricompare per la prima volta nel gruppo dei ‘quadri senza casa’ riuniti da Bernard Berenson in una serie di contributi sulla rivista ‘Dedalo’, pubblicati tra il 1929 e il 1933 e dedicati appunto a tavole di cui all’epoca era ignota la collocazione[iv]. Berenson lo giudicava non opera d’inizio Trecento, come riteneva invece Tacoli, bensì della fine del secolo, e in particolare della sfera d’influenza di Niccolò di Pietro Gerini. Sono due gli artisti menzionati come plausibili autori di quest’opera: il fiorentino Lorenzo di Niccolò e il mugellano Pietro Nelli, entrambi allievi del Gerini negli anni attorno al 1390[v] – anche se oggi sappiamo che la collaborazione col Nelli ebbe inizio molto prima. Parere attributivo similare è quello di Richard Offner, che tuttavia si limita ad assegnare l’opera alla bottega di Gerini[vi]. L’attribuzione al caposcuola spetta invece a Miklós Boskovits[vii], che attesta nondimeno nel 1975 la pertinenza dell’opera alla collezione del mercante tedesco Heinz Kisters, radunata nella sua villa di Kreuzlingen in Svizzera[viii]. Con la morte di Kisters nel 1977 la collezione venne in larga parte dispersa: il nostro dipinto, passato a Francoforte, presso gli eredi degli antiquari Karl e Anna Kotzenbrerg, ricomparve nuovamente sul mercato e di recente viene ancora menzionato come autografo di Gerini da Lorenzo Sbaraglio in un contributo dedicato all’antica raccolta del marchese Tacoli (nel catalogo della bellissima mostra La fortuna dei primitivi, tenuta presso la Galleria dell’Accademia di Firenze)[ix].

Niccolò di Pietro Gerini è giustamente considerato un autore paradigma dell’arte fiorentina dell’ultimo quarto del Trecento[x]: formatosi nella bottega di Andrea di Cione detto l’Orcagna, si segnala fin dalle prime opere – come il grandioso polittico della chiesa di Santa Maria dell’Impruneta, realizzato attorno al 1375 insieme ai collaboratori Pietro Nelli e Tommaso del Mazza[xi] – per la personale interpretazione dei modelli d’inizio secolo e in particolare della maniera di Taddeo Gaddi[xii]. L’adesione ai moduli giotteschi rimarrà un riferimento costante lungo la sua carriera, rispondendo nondimeno alle esigenze formali di una committenza orientata verso la tradizione. Gerini si trovò ad operare fino al secondo decennio del Quattrocento restando sostanzialmente fedele a se stesso, pur nella naturale permeabilità, trattandosi di un maestro di rilievo, alle impressioni degli autori con cui venne periodicamente a contatto, da Agnolo Gaddi fino a Mariotto di Nardo. Questa Crocifissione, marcata da una “tranquilla solennità”, come ebbe modo di notare Berenson[xiii], si colloca negli ultimi anni del secolo – la datazione è di Boskovits[xiv] –, subito dopo gli affreschi realizzati per il convento di San Francesco a Prato[xv] e in concomitanza verosimilmente con le scene della Resurrezione e dell’Ascensione dipinte sulla parete di fondo della sacrestia di Santa Croce a Firenze[xvi]. È il periodo più fortunato della carriera del Gerini, chiamato a realizzare opere per molte città in Toscana, da Pisa ad Arezzo, e quindi a capo di un notevole atelier, nel quale nondimeno cominciava a brillare la personalità autonoma di Lorenzo di Niccolò.

Nelle opere dell’ultimo decennio del Trecento, e quindi anche nella nostra tavola, è evidente da un lato la ricerca di un’icastica monumentalità, con le figure isolate nella loro caratterizzazione fisionomica e umorale. D’altro canto Gerini segue gli orientamenti formali del suo tempo, con un linguaggio segnato dall’esperienza figurativa dei cicli di affreschi di Agnolo Gaddi e quindi orientato all’eloquenza della narrazione: non è un caso la sostanziale simultaneità di opere pure fra loro distanti IN CHE SENSO DISTANTI?, come i sopracitati affreschi di Santa Croce, vicini alla tradizione giottesca, e quelli, realizzati in collaborazione con Ambrogio di Baldese, nella cappella di Santa Brigida al Paradiso degli Alberti, sempre a Firenze, assai più prossimi alle dolcezze del Tardogotico[xvii]. La tavola qui in esame è informata sicuramente della stessa solenne poetica che anima gli affreschi di Santa Croce e il trittico con la Madonna della cintola fra quattro santi, conservato nella chiesa di San Francesco ad Arezzo[xviii], ma anche opere di dimensioni più piccole, come la Crocifissione e dolenti oggi nelle raccolte dell’Ermitage, che naturalmente appare per noi un documento figurativo molto pertinente[xix]. Nel nostro dipinto si respira un’indole di deferenza e distacco rispetto ai personaggi raffigurati: l’ampiezza del gesto di dolore della Vergine, come pure la severa compostezza di san Giovanni risultano esemplari modelli di devozione e mirano a muovere il senso di pietà da parte dell’osservatore, assai più che a compiacerne lo sguardo. Come avveniva nelle Crocifissioni di Taddeo Gaddi – ad esempio quella del convento di Ognissanti, o quella dipinta al centro della stessa parete degli affreschi del Gerini nella sacrestia di Santa Croce – le figure diventano masse ritmiche; valgono emotivamente per la loro potenza plastica e il sottile contrappunto dei gesti.

La poetica di Niccolò diventa quindi momento culminante e finale della tradizione figurativa trecentesca a Firenze: il suo successo si spiega con l’adesione incondizionata ad uno stile che, nel corso del secolo, aveva dato vita ai massimi capolavori della pittura fino a quel punto. Ai nostri occhi dunque la tavola di Niccolò non vale solo in ragione di se stessa, ma piuttosto come documento prezioso della raggiunta consapevolezza, da parte dei maestri fiorentini, del valore unico delle espressioni artistiche maturate in città nell’arco di poche generazioni.

 

 



[i] F. Zeri, Qualche appunto sul Daddi, in Id., Diari di lavoro, 1, Bergamo 1971, p. 13.

[ii] Su Alfonso Tacoli Canacci collezionista si veda: A. Talignani, La collezione di dipinti toscani del marchese Alfonso Tacoli Canacci, in “Parma per l’arte”, 1986, 2, pp. 31-42; G. Tacoli, Alfonso Tacoli, in “Reggio storia”, 2001, 94, pp. 12-17; V. Buonocore, Aggiunte alla collezione Tacoli-Canacci, in “Arte cristiana”, 2004, 824, pp. 348-354; Id., Il marchese Alfonso Tacoli Canacci: onesto gentiluomo smaniante per la pittura, Reggio Emilia 2005; A. Galli, Tavole toscane del Tre e Quattrocento nella collezione di Alfonso Tacoli Canacci, in Invisibile agli occhi, a cura di N. Baldini, atti della giornata di studio in ricordo di Lisa Venturini (Firenze, Fondazione di Studi di Storia dell’Arte ‘Roberto Longhi’, 15/12/2005), Firenze 2007, pp. 13-28; E. Donelli, Alfonso Tacoli Canacci collezionista e mercante, in “Quaderni della Bassa Modenese. Storia, tradizione, ambiente”, 2014, 65, pp. 39-70; L. Sbaraglio, Alfonso Tacoli Canacci (Mirandola, 1726 – Firenze, 1801), in La fortuna dei primitivi. Tesori d’arte dalle Collezioni Italiane fra Sette e Ottocento, a cura di A. Tartuferi e G. Tormen, catalogo della mostra (Firenze, Galleria dell’Accademia, 24/6 – 8/12/2014), Firenze 2014, pp. 210-215.

[iii] Nel terzo inventario manoscritto (Firenze 1792), questa volta destinato al duca Ferdinando, il dipinto è catalogato con il numero 27: A. Tacoli Canacci, ***

[iv] I contributi di Berenson apparsi sulla rivista “Dedalo” in italiano tra il 1929 e il 1933 sono stati tradotti e riuniti in una raccolta postuma: B. Berenson, Homeless paintings of the Renaissance, a cura di H. Kiel, Londra 1969.

[v] B. Berenson, Quadri senza casa – Il Trecento fiorentino, IV, in “Dedalo”, 1932, I, p. 20.

[vi] H. B. J. Maginnis, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, V, 1, A legacy of attributions, Firenze 1981, p. 82.

[vii] M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, Firenze 1975, p. 410.

[viii] Sulla personalità e la collezione personale del grande mercante, amico personale del cancelliere Konrad Adenauer e fautore a sua volta della sua preziosa raccolta si veda: Sammlung Heinz Kisters: Altdeutsche und altniederländische Gemälde, a cura di P. Strieder, catalogo della mostra (Norimberga, Germanisches Nationalmuseum, 25/6 – 15/9/1963), Norimberga 1963; Meisterwerke aus der Sammlung Heinz Kisters, a cura di T. Onken, catalogo della mostra (Kreuzlingen, Evangelisches Kirchengemeindehaus, 17/7 – 8/8/1971), Kreuzlingen 1971.

[ix] Sbaraglio cit., 2014, p. 215.

[x] Gerini manca di una monografia e di un catalogo ragionato delle opere: tentativi in tal senso possono essere considerate le articolate voci sulle enciclopedie Treccani a lui dedicate da Angelo Tartuferi e Stefano Pierguidi: A. Tartuferi, Gerini, Niccolò di Pietro, in Enciclopedia dell'arte medievale, VI, Roma 1995, pp. 551-553; S. Pierguidi, Gerini, Niccolò di Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, 53, Roma 2000, pp. ***.

[xi] R. Offner, K. Steinweg, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, IV, 3, Jacopo di Cione, Firenze 1965, p. 38.

[xii] Su questa disposizione della poetica di Gerini, lungo tutto il corso della sua attività, si veda Boskovits cit., 1975, pp. 58-60, 98-101.

[xiii] Berenson cit., 1932, p. 20.

[xiv] Boskovits ha ribadito il suo parere attributivo e la sua proposta di datazione in una nota scritta del 2011.

[xv] U. Baldini, La Cappella Migliorati nel S. Francesco a Prato, Prato 1971.

[xvi] E. Zappasodi, La più antica decorazione della sagrestia-capitolo di Santa Croce, in “Ricerche di storia dell’arte”, 2010, 102, pp. 49-64 (con bibl. prec.).

[xvii] Il paradiso degli Alberti. Storia e recupero del monastero della Vergine Maria e di Santa Brigida, a cura di D. Rapino, Firenze 2014, pp. ***.

[xviii] Boskovits cit., 1975, p. 403.

[xix] T. K. Kustodieva, Crucifixion with the Virgin and St. John by Niccolo di Pietro Gerini, in “SoobšÄenija Gosudarstvennogo Ermitaža”, IL, 1984, pp. 4-5.